FERRARA: AL RIDOTTO DEL TEATRO COMUNALE UN CONVEGNO SPOT PER IL NUCLEARE
FERRARA: AL RIDOTTO DEL TEATRO COMUNALE UN CONVEGNO SPOT PER IL NUCLEARE

Si è tornati a parlare di un tema molto in voga negli ultimi tempi mercoledì 11 giugno al Ridotto del Teatro Comunale di Ferrara. Organizzato dall’associazione “Guido Carli” e presenti vari esperti moderati dal capo redattore del Resto del Carlino Cristiano Bendin, si è tenuto l’incontro Il nucleare: tra sostenibilità economica e ambientale, introdotto dagli interventi di Federico Carli, presidente dell’Associazione “Guido Carli”, Alessandro Balboni, vicesindaco di Ferrara e Riccardo Maiarelli, presidente di Fondazione Estense.
Della tecnologia nucleare utilizzata per la produzione di energia ho già trattato in un recente articolo; in esso erano riportate le dichiarazioni di Nicola Armaroli[1] relativamente al DDL Energia del ministro Gilberto Pichetto Fratin, approvato recentemente dal Consiglio dei Ministri. Armaroli faceva notare che “il nucleare in Italia non si farà” in quanto il DDL “mette nero su bianco che dovranno pagarlo i privati”, e “non esiste un solo paese al mondo in cui il nucleare non sia sussidiato dallo stato, oltre a ciò il testo del decreto prescrive addirittura che le aziende energetiche si facciano carico della gestione dei rifiuti, incluso il deposito geologico”. Ma è difficile pensare, continua Armaroli, che qualcuno possa investire a queste condizioni, anche perché “essendo l’Italia uno dei luoghi più difficili al mondo per fragilità idrogeologica, rischio sismico e vincoli paesaggistici, la localizzazione diventa un rebus”, un problema di assoluta rilevanza.
Detto questo vale la pena illustrare brevemente il senso dell’incontro del Ridotto, che, a mio avviso, è stato sostanzialmente uno spot, come ce ne sono tanti in questi ultimi tempi, in cui si decantano le lodi della tecnologia nucleare. Ciò è suffragato anche dal fatto che i fautori del nucleare si considerano “pragmatici”, mentre chi non è d’accordo e si oppone è considerato portatore di “ideologie”, e questo non solo sul tema in oggetto, ma anche rispetto alle molte tecnologie che sono motivo di contrapposizione tra ambientalisti e fautori della crescita a prescindere, in particolare se ci si riferisce alle cosiddette “rinnovabili”.
Presentare gli intervenuti, tutti personaggi di assoluto livello, sia per le competenze che per i ruoli ricoperti, può servire a capire quanto ho appena sostenuto.
Marco Peruzzi è membro del comitato esecutivo del gruppo EDISON, ingegnere laureato al Politecnico di Milano, si è occupato principalmente di organizzazione e business, prima in ENI, poi appunto in EDISON dove, dal 2009, ha avviato le attività nel settore dell’efficienza energetica costituendo Edison Energy Solutions e ristrutturato il settore energie rinnovabili. Dal novembre 2019 ricopre la carica di vice-presidente di Elettricità Futura, la principale Associazione della filiera industriale nazionale dell’energia elettrica con oltre il 70% del mercato elettrico italiano e l’obiettivo di promuovere lo sviluppo del settore elettrico italiano nella direzione della transizione energetica. Interessante scorrere il lungo elenco degli associati tra i quali spiccano ENEL, ENI ed EDISON.
Gian Pietro Joime, laurea in Scienze Politiche con specializzazione in economia internazionale, è componente del nucleo tecnico per il coordinamento della politica economica della presidenza del Consiglio dei Ministri, e docente di economia dell’ambiente e del territorio all’Università telematica G. Marconi. Suggestivo il titolo di un articolo apparso sulla rivista Partecipazione, “La transizione ecologica? È una grande questione industriale (e nazionale)”.
Di Simone Mori si legge vanti grande esperienza nel settore dell’energia e delle infrastrutture, avendo ricoperto ruoli senior in aziende leader del settore energetico. Laureato in Fisica ha conseguito un Master in Business Administration, e, dopo essere stato dirigente ENEL, ha fondato ENEOSIS, di cui è amministratore delegato, una società che fornisce servizi di consulenza integrata, strategica ed organizzativa, in materia di tematiche regolatorie, istituzionali e strategiche nei settori energetico, ambientale e delle infrastrutture, diretti ad imprese, professionisti, persone fisiche e giuridiche, enti pubblici, associazioni e fondazioni. E’ anche docente del corso di Managing the Energy Transition, alla Luiss Guido Carli di Roma.
Pietro Maria Putti invece è AD di Gestore Mercati Energetici (GME), società che è stata costituita dal Gestore dei Servizi Energetici S.p.A., interamente partecipata dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, organizza e gestisce i mercati dell’energia elettrica, del gas naturale e quelli ambientali. Il GME svolge le proprie attività nel rispetto degli indirizzi del Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica (MASE) e delle previsioni regolatorie definite dall’Autorità di Regolazione per Energia Rete e Ambiente (ARERA). E’ docente del corso di Introduzione al Diritto e all’Economia dei Mercati Energetici (laurea magistrale in Ingegneria Energetica) presso l’Università La Sapienza di Roma. E’ stato Vice Presidente dell’Associazione Italiana Nucleare e membro (fino al 2010) della Commissione di esperti istituita presso il Ministero dello Sviluppo Economico per la riforma della normativa italiana in materia nucleare.
Infine Gian Luca Artizzu Laureato in Scienze Politiche è esperto di gestione e organizzazione aziendale; già manager in Sogin (società pubblica che si occupa dello smantellamento degli impianti nucleari italiani e della gestione dei rifiuti radioattivi), ne è attualmente l’AD.
Dalle brevi descrizioni risultano quindi diverse le competenze legate alla organizzazione aziendale e ai ruoli manageriali, meno a quelle di tipo tecnico.
Venendo ai contributi degli intervenuti, molti di essi, come detto in apertura, sono stati caratterizzati dalla messa in rilievo delle presunte positività del nucleare con affermazioni quali “il nucleare come tema per il futuro del paese”, o la “necessità del nucleare per una politica energetica che garantirebbe all’Italia competitività e riuscirebbe ad abbassare i costi dell’energia”, fino alla previsione di un “futuro luminoso per i nostri figli”.
A proposito di futuro vi è stata l’onestà di riconoscere che la maggior parte di noi, ad esclusione dei più giovani, difficilmente potrà vedere realizzate le tanto evocate tecnologie nucleari, anche di nuova generazione (Small Modular Reactors), visti i tempi e i costi di costruzione di questi impianti.
Le accuse di “ideologia” per chi si oppone o non ritiene opportuna, conveniente, o sicura la tecnologia nucleare sono state, come già accennato, il refrain per diversi dei contributi.
Viene il dubbio che ideologico sia chi la pensa diversamente senza minimamente entrare nel merito delle questioni.
L’incontro poi ha visto alcune “narrazioni” molto comuni di questi tempi a cominciare da “la domanda di energia elettrica in Europa (e quindi in Italia) è destinata ad aumentare vertiginosamente”, e “la velocità nella transizione energetica sarà inferiore alle esigenze energetiche”, o anche “le rinnovabili come tecnologie non affidabili, intermittenti, discontinue e non programmabili”, facendo riferimento per questa ultima affermazione al recente blackout spagnolo. Il tutto quasi senza fornire dati a supporto di quanto dichiarato.
Non poteva poi mancare il riferimento alla vicina Francia quale paese visto come “grande produttore di energia elettrica da nucleare”, senza però ricordare la crisi degli anni recenti e i problemi che quel settore sta vivendo. A questo proposito la rivista QualEnergia.it, fonte più che affidabile, nel settembre del 2022 pubblicava un articolo dall’eloquente titolo La Francia nucleare: da esportatore di energia a basso costo a malato d’Europa[2].
Altro contributo sul tema è del luglio 2023 da parte di ISPI (Istituto per gli Studi di Politica Internazionale); in https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/francia-a-prova-di-scossa-elettrica-136246, si può leggere che “Tutto è cambiato nel 2022 quando la Francia ha sperimentato diverse crisi simultanee: una crisi idroelettrica con scarsa disponibilità di acqua nei bacini, una crisi di produzione nucleare con 27 reattori su 56 fermi, oltre alla crisi del gas con la Russia, e infine, ma non meno importante, le limitazioni estive al funzionamento delle centrali nucleari a causa delle temperature dell’acqua nei fiumi”. Di qualche settimane fa è invece l’articolo Un guasto a un reattore nucleare in Francia rischia di far schizzare i prezzi dell’energia in Europa, apparso su Europa Today, che tratta le conseguenze di eventuali guasti degli impianti nucleari (https://europa.today.it/economia/guasto-reattore-nucleare-francia-rischio-aumento-prezzi-energia-in-europa.html).
Ovviamente nel poco tempo a disposizione non sarebbe stato possibile sviscerare i tanti aspetti problematici che questa tecnologia presenta; ci si poteva aspettare qualche accenno esplicito al problema, di difficile soluzione, della gestione delle scorie e dei rifiuti radioattivi che derivano dal processo, a quello dei costi e della reperibilità del combustibile, o all’aspetto dello smantellamento degli impianti a fine ciclo, solo per citarne alcuni.
In conclusione credo sia legittimo chiedersi il senso di un incontro su questo tema a Ferrara. Viene da pensare che, nella eventualità di uno sviluppo della tecnologia nucleare, il nostro territorio possa essere tra quelli scelti per la installazione. Ma questo, al di là delle problematiche inerenti alla tecnologia in sé, sarebbe un problema di notevole entità vista la notevole concentrazione di impianti per la produzione di energia, come biogas/biometano e fotovoltaico (a terra o agrivoltaico), che già sono presenti e che si prevede vengano realizzati nella nostra provincia.
https://www.periscopionline.it/ferrara-al-ridotto-del-teatro-comunale-uno-spot-per-il-nucleare-305113.html
Per leggere gli articoli di Gian Gaetano Pinnavaia su Periscopio clicca sul nome dell’autore
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Biometano a Sarmato, richieste modifiche al progetto. La Sindaca: “Procedura molto tecnica, valuteremo in modo scrupoloso ” – AUDIO
1 Luglio 2025 Redazione MC Attualità

Biometano a Sarmato, richieste modifiche al progetto. Il comitato: “Poca informazione”, la Sindaca Ferrari: “Procedura molto tecnica, non nascondiamo nulla, valuteremo in modo scrupoloso”. Continua a far discutere il tema sulla realizzazione dell’impianto a pochi passi del centro abitato del paese piacentino. Al Comune recentemente è arrivata una richiesta di modifica dell’impianto di produzione di biometano da parte del proponente.
La Sindaca Claudia Ferrari
La valutazione come da norma di legge coinvolgerà tutti gli enti già interessati nella procedura precedente, gestita da ARPAE. Il Comune di Sarmato ha scelto di continuare a farsi seguire dall’Avvocato Massimo Rutigliano e da CRPA, per le valutazioni amministrative e tecniche al fine di gestire la richiesta con le necessarie competenze. Questa procedura, attualmente in corso, però non cancella l’autorizzazione avuta dal proponente.
Il Comitato ha lamentato scarsa informazione
La procedura è sicuramente molto tecnica e per questo ci facciamo seguire da specialisti. Quindi non mi sento di dare valutazioni rispetto alla materia però posso sicuramente dire che non c’è da parte dell’Amministrazione Comunale alcuna intenzione di nascondere nulla, è doveroso che sia così. Nel momento in cui la norma lo permetterà, gli atti che possono essere pubblicati, saranno pubblicati. Attualmente la procedura è in corso, quindi è normale attenerci alla normativa. Valuteremo in modo scrupoloso tutta la documentazione.
Biometano a Sarmato, richieste modifiche al progetto: la nota del Comitato
Con proprio decreto n. 5 dell’11 Giugno 2025 l’amministrazione Comunale di Sarmato ha provveduto alla nomina di un nuovo Responsabile Unico del procedimento P.A.S. (Procedura Abilitativa Semplificata) da parte di Apis PC1; cosa significa tale provvedimento?
Tutto nasce dalla richiesta, in data 09 Giugno 2025 e non sottoposta ad alcuna informativa da parte del Comune, con la quale il legale rappresentante di APIS PC1, SOCIETA’ AGRICOLA S.R.L., ha depositato la documentazione relativa ad una Procedura Abilitativa Semplificata per, si legge nel decreto, “modifica della ricetta di alimentazione delle biomasse in ingresso (quantitativo massimo biomasse in ingresso invariato e produzione di biometano invariata), modifica n. digestori, riduzione volumetria stoccaggio digestato solido, realizzazione bunker di alimentazione e stoccaggio biomasse, realizzazione unico biofiltro, sostituzione copertura per balloni paglia con telo in PVC, spostamento area tecnologica ed altre componenti di impianto per ottimizzazione degli spazi di gestione, relativamente all’Impianto di Biometano APIS PC1.”
Per chiarire la portata della richiesta è bene ricordare che il Decreto Legislativo n. 190/2024 ha riorganizzato i regimi amministrativi per gli impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili, introducendo la Procedura Abilitativa Semplificata (PAS) che si applica qualora, a seguito di impianto formalmente autorizzato, venissero introdotte modifiche definite “non sostanziali”, tali da non alterare le caratteristiche fondamentali dell’impianto, come la capacità produttiva, il tipo di tecnologia utilizzata, non comportino un aumento significativo dell’impatto ambientale e quando non sono necessarie ulteriori valutazioni di impatto ambientale.
Come ormai di consueto bocche cucite in amministrazione, quasi che il procedimento riguardi la modifica alle apparecchiature di un laboratorio artigianale (anche se, siamo pressoché certi, che la carta stampata locale in questo caso ne avrebbe comunque dato corretto rilievo) e non rientri nel pubblico interesse della comunità sarmatese; non è dato a sapersi i dettagli che si celano dietro quelle che vengono tecnicamente definite “modifiche non sostanziali”, anche se viene il dubbio che la modifica al numero dei biodigestori (quanti? Perché?), la riduzione volumetrica dello stoccaggio del digestato solido (perché? Sono stati sbagliati i conteggi in sede di AUA?) e la realizzazione di un unico biofiltro (quando nelle more del primo provvedimento di diniego all’AUA il proponente Apis PC1 si impegnò ad introdurre una serie di azioni per una “Migliore gestione delle emissioni” che nell’ultima relazione sulle emissioni odorigene veniva così riassunta: “I valori riscontrati nello studio di ricaduta, sono tali da poter affermare che l’impatto odorigeno sia da considerarsi basso, ma non totalmente trascurabile”) non appaiono al Comitato ed alla comunità come modifiche di poco conto, soprattutto in tema di potenziale aumento dell’impatto ambientale.
Cosa abbia determinato una così estrema serie di modifiche all’impianto, immediatamente a seguito del rilascio dell’Autorizzazione Unica Ambientale da parte di Arpae, rimane pertanto un mistero così come, dichiarano dal Comitato Rinnoviamo Sarmato, non trova spiegazione la nomina di un professionista Architetto “prestato”, per effetto di una convenzione, da un Comune piacentino quale Responsabile Unico del Procedimento (RUP) per la Procedura Abilitativa Semplificata (PAS), al quale è stato affidato il compito di curare tutti gli aspetti del procedimento, fino alla conclusione del procedimento stesso con il rilascio dell’eventuale autorizzazione o la comunicazione di conclusione positiva.
Ci si domanda, pertanto, ai fini della competenza, affidabilità ed esperienza, come mai non si sia ritenuto di affidare l’incarico ad un dottore agronomo o ad una società specializzata in impianti di biometano, magari esponendone i costi a carico del proponente (ma questo magari è chiedere troppo e non rientra nei criteri di opportunità della nostra attenta amministrazione).
Prosegue, pertanto, l’altalena dei cambiamenti di rotta, sia del proponente l’impianto che da parte dell’amministrazione comunale che, quest’ultima, in barba alla dichiarata – solo verbale – contrarietà all’impianto (è bene rammentare che il Comune di Sarmato ha espresso parere favorevole alla realizzazione dell’impianto), oltre al ben noto “vi terremo informati” del primo cittadino ed alle promesse (disattese) di ricorso alle vie legali per l’annullamento dell’autorizzazione, non ha ritenuto opportuno:
1. informare la cittadinanza della richiesta di “semplificazione” del procedimento Apis PC1 da AUA a P.A.S.;
2. spiegare come si intendono conciliare i contenuti delle prescrizioni subordinate all’Autorizzazione Unica Ambientale dello scorso 27/11/2024 con le modifiche presentate nelle more della P.A.S.;
3. affidare l’incarico ad un dottore agronomo o ad una società specializzata, magari esponendone i costi a carico del proponente;
4. spiegare quali garanzie e/o valore aggiunto si intendono concretizzare dall’incarico appena formalizzato;
5. illustrare i mutamenti tecnici proposti sulla modifica al numero di biodigestori, alla riduzione della volumetria stoccaggio digestato solido, ma soprattutto alla realizzazione di unico biofiltro che, ci permettiamo di obiettare, richiedono magari approfondimenti e/o ulteriori valutazioni in tema di aumento dell’impatto ambientale al fine di scongiurare ulteriori ricadute odorigene (peraltro purtroppo già attese come dichiarato dalla stessa Apis);
6. provvedere a deliberare in Consiglio Comunale l’impegno, in sede di revisione degli strumenti urbanistici, con particolare riferimento ad un atto di indirizzo del PUG, quanto suggerito nel quesito in merito alla “realizzabilità di un impianto di produzione di biometano” acquisito agli atti come ParereRER20-09-2024-Allegato 8366_3 nel quale, al comma 5, il dottor Giovanni Santangelo della RER – Settore Governo e Territorio, dichiara: “le amministrazioni comunali, in considerazione delle specifiche funzioni insediate nel proprio territorio o previste dalla pianificazione urbanistica vigente o adottata, possono individuare nel Regolamento Urbanistico ed Edilizio (RUE) distanze minime per la localizzazione degli impianti a biogas. La compatibilità di tali limiti con l’attuazione dei piani energetici, regionale e locali è verificata dalla Provincia nell’ambito delle riserve al RUE, sulla base dei criteri fissati dalla Giunta regionale d’intesa con le Province stesse”?
7. inserire nell’OdG del prossimo Consiglio Comunale del 30 Giugno p.v. l’informativa della P.A.S.;
8. indicare quali motivi hanno determinato la scelta di reiterare le sedute del Consiglio Comunale sempre e comunque in videoconferenza in luogo della presenza in chiaro contrasto con quanto indicato all’art. 9 comma 8 dello Statuto Comunale “Le sedute del Consiglio e delle Commissioni sono pubbliche salvi i casi previsti dal Regolamento”; nel caso specifico il “Regolamento per le sedute del Consiglio Comunale in videoconferenza” all’art. 1 recita che le “sedute del Consiglio Comunale che si tengono mediante videoconferenza o audioconferenza da remoto, in caso di esigenze straordinarie connesse a eventi eccezionali e imprevedibili, nonché in presenza di uno stato di emergenza, o comunque quando valutazioni di opportunità legate alla facilitazione della massima partecipazione lo necessitino, su decisione del/la Sindaco/a.”
Questa totale indifferenza dell’amministrazione costituisce, a nostro avviso, un ulteriore “lato oscuro” rispetto alle evidenze già espresse nel corso del Convegno organizzato dal Comitato lo scorso 07 Giugno dalla dottoressa Adele Pazzi, medico, dal dottor Andrea Bregoli, agronomo e da Maria Grazia Bonfante, coordinatrice nazionale di Terre Nostre, che hanno dimostrato, dati scientifici alla mano, l’assoluta precarietà della salute pubblica e dell’ambiente conseguente alla realizzazione di impianti di biometano, circostanza ancor di più amplificata se riferita ad un’area prossima alle residenze sarmatesi; evidentemente il diritto all’informazione su tematiche di carattere ambientale non può essere invocato né reso pubblico per la comunità di Sarmato.
Rimaniamo, conclude il Comitato, nel frattempo in attesa della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale, Sezione di Parma, sul ricorso presentato nei confronti di Arpae che non ha ritenuto di rendere disponibili i documenti progettuali dell’impianto, invocando un presunto potere di valutare le modalità con cui contemperare le esigenze informative del richiedente con l’interesse alla tutela della riservatezza economico-industriale dell’azienda che aveva presentato il progetto dell’impianto; quale segreto industriale si possa celare dietro la richiesta della relazione sulle terre e rocce di scavo (appartenenti alle vasche di lagunaggio area Ex-Eridania), sui Flussi di processo, sui….
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Perché non si prende in considerazione la produzione energetica fotovoltaica diffusa sui tetti e si privilegiano i grandi impianti eolici e fotovoltaici?

del Gruppo d’Intervento Giuridico (GrIG)
E’ davvero difficile capire per quali motivi a livello nazionale non si prenda in considerazione la produzione energetica fotovoltaica diffusa sui tetti e si privilegiano i grandi impianti eolici e fotovoltaici per sopperire alle reali esigenze energetiche del Bel Paese.
Ancora nei giorni scorsi (10 giugno 2025) l’associazione ecologista Gruppo d’Intervento Giuridico (GrIG) ha presentato l’atto di opposizione al rilascio della concessione demaniale marittima trentennale per la realizzazione della centrale eolica offshore proposta dalla società pugliese Wind Alfa s.r.l. nel mare del Sulcis, davanti alle coste di Nebida (Iglesias), Carloforte, Gonnesa e Portoscuso.
63 “torri” eoliche (potenza 15 MW) alte centinaia di metri sul livello del mare, per complessivi 945 MW di potenza, un sistema di accumulo a terra di 360 MWh, due sottostazioni elettriche galleggianti, cavidotti da 380 kv con approdo a terra nella zona demaniale di Portovesme. La richiesta di concessione riguarda zone demaniali (ZD), specchi acquei (SP) nel mare territoriale, specchi acquei (SP) oltre il limite del mare territoriale.
Sono stati coinvolti la Capitaneria di Porto di Cagliari, la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, la Regione autonoma della Sardegna, i Comuni di Iglesias, Carloforte, Gonnesa, Portoscuso.
Il GrIG ha chiesto il diniego del rilascio della concessione demaniale marittima, vista l’assenza dello svolgimento del procedimenti di valutazione ambientale strategica (V.A.S.), di valutazione d’impatto ambientale (V.I.A.), l’assenza della benchè minima considerazione degli impatti cumulativi derivanti dai numerosi analoghi progetti di centrali eoliche offshore presentati nella medesima area marina.
Sarebbe semplicemente assurdo in queste condizioni consegnare per quattro soldi migliaia di chilometri quadrati di mare a un soggetto privato, che può escludere (o ammettere a pagamento) pesca, transito commerciale e da diporto e qualsiasi altro libero utilizzo del mare.
Inoltre, la concessione demaniale marittima richiesta dovrebbe riguardare estesi specchi acquei di mare oltre i limiti territoriali in assenza di una definita Zona Economica Esclusiva (ZEE) concordata a livello internazionale con gli altri Stati rivieraschi del Mediterraneo occidentale (Spagna, Algeria, Tunisia), come richiesto dalla Convenzione internazionale dell’O.N.U. sul diritto del Mare (UNCLOS).
Ebbene, si tratta soltanto dell’ultima azione effettuata per contrastare la speculazione energetica in una situazione di assenza di reale pianificazione in materia e di vero e proprio Far West che fa comodo soltanto a chi vuol guadagnare in carenza di regole efficaci.
Il rapporto virtuoso fra transizione energetica dalle fonti fossili tradizionali (petrolio, gas naturale) alle fonti rinnovabili (sole, vento, acqua) e tutela del territorio è senz’altro complesso, ma è tutt’altro che impossibile da realizzare.
In tutto il territorio nazionale le istanze di connessione di nuovi impianti presentate a Terna s.p.a. (gestore della rete elettrica nazionale) al 31 marzo 2025 risultano complessivamente ben 6.070, pari a 355,03 GW di potenza, suddivisi in 3.857 richieste di impianti di produzione energetica da fonte solare per 153,54 GW (43,25%), 2.030 richieste di impianti di produzione energetica da fonte eolica a terra per 108,42 GW (30,54%) e 132 richieste di impianti di produzione energetica da fonte eolica a mare 89,96 GW (25,34%), mentre sono ben poche (complessivamente 51 per complessivi 3,12 MW, lo 0,88%) le richieste per impianti idroelettrici, geotermici e da biomasse, cioè circa 4,7 volte l’obiettivo previsto a livello europeo.
Caso particolare è quello della Sardegna, in quanto si tratta di un sistema semi-chiuso, con soli due (saranno tre nei prossimi anni) collegamenti con il sistema elettrico della Penisola.
In Sardegna le istanze di connessione di nuovi impianti presentate a Terna s.p.a. (gestore della rete elettrica nazionale) al 31 marzo 2025 risultano complessivamente 729, pari a 54,40 GW di potenza, suddivisi in 470 richieste di impianti di produzione energetica da fonte solare per 19,72 GW (36,25%), 225 richieste di impianti di produzione energetica da fonte eolica a terra per 15,65 GW (28,77%) e 33 richieste di impianti di produzione energetica da fonte eolica a mare per 19,02 GW (34,97%), una sola richiesta per centrale idroelettrica per 0,01 GW (0,01%).
54,40 GW significa più di 25 volte gli impianti oggi esistenti in Sardegna. Risultano installati (2023) impianti energetici a combustibili fossili per MW 2.365 di potenza installata e impianti energetici da fonti rinnovabili per MW 3.660. La produzione energetica a intermittenza degli impianti rinnovabili fa si che, pur avendo una potenza installata ben superiore, producano meno gigawattora (GWh).
Qualche sintetica considerazione sulla speculazione energetica in corso in Italia è stata svolta autorevolmente dalla Soprintendenza speciale per il PNRR, che, dopo approfondite valutazioni, ha evidenziato in modo chiaro e netto: “… è in atto una complessiva azione per la realizzazione di nuovi impianti da fonte rinnovabile (fotovoltaica/agrivoltaica, eolico onshore ed offshore) … tanto da prefigurarsi la sostanziale sostituzione del patrimonio culturale e del paesaggio con impianti di taglia industriale per la produzione di energia elettrica oltre il fabbisogno … previsto … a livello nazionale, ove le richieste di connessione alla RTN per nuovi impianti da fonte rinnovabile ha raggiunto il complessivo valore di circa 328 GW rispetto all’obiettivo FF55 al 2030 di 70 GW” (nota Sopr. PNRR prot. n. 51551 del 18 marzo 2024)”.
Qui siamo alla reale sostituzione paesaggistica e culturale, alla sostituzione economico-sociale, alla sostituzione identitaria.
Ritorniamo alla domanda iniziale: perché non si prende in considerazione la produzione energetica fotovoltaica diffusa sui tetti e si privilegiano i grandi impianti eolici e fotovoltaici?
Così come indicato dal quadro normativo, in tutta Italia, fra le aree idonee dovrebbero esser individuate le zone industriali e quelle già degradate, mentre dovrebbe esser privilegiata e incentivata la soluzione relativa al posizionamento di pannelli fotovoltaici sui tetti di edifici pubblici, capannoni, aziende, edifici privati, ecc.
Sarebbe più che sufficiente per le necessità energetiche nazionali.
Si rammenta che lo studio ENEA pubblicato sulla Rivista Energies (N. Calabrese, D. Palladino, Energy Planning of Renewable Energy Sources in an Italian Context: Energy Forecasting Analysis of Photovoltaic Systems in the Residential Sector, 27 marzo 2023) afferma che per sopperire ai fabbisogni energetici dell’intero patrimonio residenziale italiano basterebbe realizzare pannelli fotovoltaici sul 30% dei tetti a uso abitativo.
L’I.S.P.R.A. afferma e certifica (vds. Report Consumo di suolo, dinamiche territoriali e servizi ecosistemici. Edizione 2023, Report n. 37/202)) che è molto ampia la superficie potenzialmente disponibile per installare impianti fotovoltaici sui tetti, considerando una serie di fattori che possono incidere sulla effettiva disponibilità di spazio (presenza di comignoli e impianti di condizionamento, ombreggiamento da elementi costruttivi o edifici vicini, distanza necessaria tra i pannelli, esclusione dei centri storici).
Dai risultati emerge che la superficie netta disponibile può variare da 757 a 989 km quadrati. In sostanza, si spiega, “ipotizzando tetti piani e la necessità di disporre di 10,3 m2 per ogni kW installato, si stima una potenza installabile sui fabbricati esistenti variabile dai 73 ai 96 GW”. A questa potenza, evidenziano i ricercatori dell’ISPRA, si potrebbe aggiungere quella installabile in aree di parcheggio, in corrispondenza di alcune infrastrutture, in aree dismesse o in altre aree impermeabilizzate; “ipotizzando che sul 4% dei tetti sia già installato un impianto, si può concludere che, sfruttando gli edifici disponibili, ci sarebbe posto per una potenza fotovoltaica compresa fra 70 e 92 GW”.
Qui la stima ISPRA 2023, suddivisa per superfici utili per ogni Comune italiano.
Ulteriore elemento produttivo – finora non adeguatamente preso in considerazione – è individuabile nella realizzazione di pannelli fotovoltaici lungo le principali arterie stradali (autostrade, superstrade).
Energia producibile senza particolari impatti ambientali e conflitti sociali.
Energia producibile in modo diffuso, democratico, più facilmente controllabile dalle popolazioni interessate.
Forse, la risposta alla domanda è proprio qui: tale produzione energetica danneggerebbe i grandi produttori, compresi quelli di proprietà pubblica.
Gruppo d’Intervento Giuridico (GrIG) Qui l’attuale situazione del complesso rapporto fra energia e territorio e le proposte del GrIG: Quali soluzioni per una transizione energetica che realmente rispetti l’ambiente e il territorio?
“Il lato oscuro del Biometano”, sold out per il convegno del comitato di Sarmato
Il presidente Fellegara: «Assenti le amministrazioni di Borgonovo, Castel San Giovanni e Rottofreno. Ma il silenzio più sdegnato non può che essere rivolto al sindaco»
Un momento del convegno

Nella affollatissimo e gremito salone multimediale della Famiglia Alpina Sarmatese, che ha raggiunto il tutto esaurito, il Comitato “RinnoviAmo Sarmato” ha organizzato nella mattinata di sabato 7 giugno, un convegno pubblico dal titolo emblematico “Biometano: il lato oscuro” al quale è stata invitata la cittadinanza, le istituzioni e le associazioni sarmatesi.
Obiettivo del Comitato è stato quello di fare luce «sui reali effetti che l’insediamento del mega-impianto per la produzione di biometano, previsto in prossimità dell’abitato sarmatese e autorizzato lo scorso mese di novembre con il parere favorevole di tutti gli enti convolti, Comune compreso, potrebbe produrre non soltanto dal punto di vista delle possibili (se non certe) emissioni odorigene, ma anche e soprattutto in relazione al contesto medico, scientifico e sociale, con il principale obiettivo di colmare l’imbarazzante silenzio delle istituzioni in tema di (necessaria) pubblica informazione per la realizzazione di una grande opera dal significativo e forte impatto ambientale». Si legge in una nota del Comitato che riportiamo di seguito.
«Tra i relatori è intervenuta infatti la dottoressa Adele Pazzi, medico chirurgo e Responsabile del Reparto di Geriatria Lungodegenza Ospedale san Giuseppe di Copparo (Ferrara), che ha evidenziato una serie di problematiche legate alle emissioni in atmosfera delle polveri sottili, con particolare riferimento agli sforamenti da particolati, i cui limiti di legge, in ogni autorizzazione agli impianti, si valutano inspiegabilmente come rispettati e non tengono in debito conto le emissioni in atmosfera già presenti in loco; tali irrazionali circostanze agevolano una sospensione prolungata nel tempo con escursione delle particelle anche a grandi distanza, il deposito nei terreni con conseguente potenziale inquinamento alla catena alimentare e alle falde acquifere, l’ingresso nel nostro corpo attraverso l’aria e la catena alimentare (non ultimo, uno studio inglese le ha rilevate addirittura nella placenta), alterazioni che, oltre agli organi ed i tessuti, possono interessare anche il Dna con potenziali tumori polmonari, dell’apparato urinario, del fegato, della prostata, del cervello e della tiroide».

«Altri preoccupanti riferimenti sono stati relazionati in conseguenza agli aumenti di Sindrome Adhd (Attention deficit Hyperactivity Disorder), tipicamente osservata nei bambini, con conseguente diminuzione delle capacità cognitive. A supporto di tali asserzioni una serie di studi esteri dimostrerebbero non solo la già nota correlazione tra cardiopatia ischemica e inquinamento, ma anche come i presupposti bio-molecolari siano responsabili dell’insorgenza del cancro polmonare nei non fumatori. In materia di odori ci si è soffermati sui Composti Organici Volatili (COV) che percepiamo come «puzza», composti principalmente di grassi volatili, di composti dell’azoto, di composti dello zolfo, fenoli/terpeni, di composti florurati (Pfas), di idrocarburi aromatici responsabili, oltre all’evidente disagio sensoriale, di gravi alterazioni dello stato di salute (fonte Ministero della Salute) oltre a rischio cancerogeno e danni al fegato».
Al medico Adele Pazzi è seguito l’intervento del dottor Adrea Bregoli, agronomo nonché esperto di ripercussioni ambientali, che ha rilevato come «la ‘Rivoluzione Verde’ (seguita negli ultimi 30 anni del XX secolo) abbia determinato un modello intensivo di agricoltura che nel tempo si è dimostrato ‘non sostenibile’ (e che ha avuto tra le conseguenze maggiori la degradazione dei i suoli, la diminuzione della sostanza organica, l’inquinamento delle falde, la diminuzione della biodiversità, l’incredibile riduzione delle specie coltivate da 6.000 a 200 e l’aumento delle emissioni di Co2). In tema di digestato (materia organica che si produce come sottoprodotto della digestione anaerobica degli impianti di biometano) viene osservato che oltre all’azoto, fosforo e antibiotici di cui sono ricchi i reflui agricoli, il concime naturale libera ammoniaca nell’aria che, combinata ad altre componenti, genera polveri sottili (con le ricadute citate dalla dottoressa Pazzi)».
«Inoltre, sempre in tema di emissioni, un ulteriore elemento potenzialmente critico è rappresentato dalla Co2 rilasciata dai mezzi di trasporto necessari per conferire e materiali all’impianto, così come quello determinato dai mezzi in uscita per il digestato (singolare, osserva Bregoli, l’accostamento ad “economia circolare” posto che i materiali in ingresso provengono da località individuate nel pavese – Casatisma e Redavalle – oltre addirittura ad interessare la provincia di Cremona – Salvirola, distante circa 70 km – il cui costo ai fini della sostenibilità economica appare decisamente in perdita); inoltre nel processo produttivo dell’impianto non possono essere ignorate, a livello di post-trattamento di separazione solido/liquido, la concentrazione nella frazione liquida di gas combusto, decisamente più inquinante del Gas naturale, emissioni di diossine (formaldeide) cancerogeno Classe I, oltre alla presenza di spore tipo Clostridi anaerobi. Altro tema ha riguardato i nitrati riversati nei terreni, in quanto le deiezioni inquinano i corsi di acqua e possono arrivare a contaminare le acque delle reti domestiche. Un evidenza particolare va riservata al reale rischio che un’intossicazione da nitrati può provocare nei confronti dei bambini per la sua capacità di legarsi all’emoglobina del sangue, oltre ad generare potenziali effetti tipo cancro allo stomaco negli adulti».

Ulteriori elementi di riflessione sono stati espressi da Maria Grazia Bonfante, coordinatrice nazionale di Terre Nostre con un passato da Amministratore e da sindaco del Comune di Vescovato (Cremona) che ha evidenziato come la pianura padana «sia ormai sotto attacco da una vera e propria colonizzazione da parte di holding e grandi gruppi (per lo più esteri) che, nascosti dietro la bandiera del green-deal, stanno promuovendo vere e proprie azioni di “assalto” al nostro territorio, individuato non tanto secondo criteri di oggettiva programmazione, bensì da valutazioni di opportunità legate alla vicinanza delle infrastrutture necessarie (infrastrutture che, purtroppo per noi, sono frutto della tassazione dei cittadini – vedi metanodotti realizzati nei comuni)».
«Tali pratiche – si legge nella nota – stanno producendo una forte alterazione ai modelli e alla vocazione di agricoltura cui eravamo abituati, generando modalità di produzione e consumo attuali non più sostenibili (si calcola che entro l’anno 2050 andranno perse circa il 40% delle terre coltivate – fonte Fao). Inoltre, soltanto in Lombardia, il 49% dei Comuni (pari a 736) risultano vulnerabili da nitrati di origine agricola; di questi il 57% sono totalmente vulnerabili. E purtroppo nulla hanno prodotto recenti sentenze della corte di giustizia europea che ha condannato la Repubblica Italiana per il mancato rispetto “continuativo e sistematico”, in relazione ai particolati Pm10, (sentenza n. 895/2020 emessa il 10/11/2020) – al Biossido di azoto (sentenza n. C-573/2019 emessa il 12/05/2022) ed al PM2,5 con procedure di infrazione in essere per inottemperanza alla Direttiva UE 2008/50/CE».
«Tra le anomalie osservate spicca anche il non più apparente “Business in Conflitto” nei confronti della società Snam, società di infrastrutture energetiche, nonché primo operatore europeo nel trasporto del gas naturale che, in estrema sintesi, produce, stocca, distribuisce e commercializza il biometano, utilizzando come cartina tornasole la bandiera di investimenti per ridurre le emissioni di gas serra; tale circostanza ha determinato da parte dell’UE il rilievo sulla mancata conformità della Direttiva sulla separazione del business. Infine, conclude Maria Grazia Bonfante, non si può non osservare neppure l’inammissibile pratica di reclutamento per la disponibilità dei terreni che vede gli agricoltori coinvolti, avvicinati con il solo scopo di ottenere le autorizzazioni necessarie, in virtù di incentivi PNRR che finanziano il business di società che, di norma, non possiedono né una stalla, neppure un ettaro di terreno, sono inattive e non hanno alcun dipendente. Il coordinamento Terre Nostre, conclude, si è fin da subito reso disponibile a sussidiare i Comuni per fornire la necessaria assistenza in materia di competenze e normativa; non sono mancate tra le azioni promosse diffide verso i Sindaci che autorizzano con disinvoltura nuovi insediamenti, con scelte politiche discutibili a scapito dei territori. In più occasioni Terre Nostre ha sostenuto i cittadini nelle azioni volte ad assicurare richieste di risarcimento danni, attraverso il supporto di recenti sentenze favorevoli agli indennizzi; ulteriori sostegni vengono operati verso i comuni che si oppongono al business speculativo, promuovendo dinieghi e, in alcuni casi, arrivando anche alla diffida delle istituzioni che non consentono l’accesso gli atti ai cittadini, in evidente violazione della legge. Infine un inciso sull’esigenza del coinvolgimento territoriale, in quanto questi insediamenti non esprimono un solo impatto locale ma generano inevitabilmente disagi e difficoltà verso i comuni limitrofi, che, fatalmente, subiranno gli stessi negativi effetti».
Un altro contributo è giunto ad opera da Silvia Alberici, presidente del comitato cittadino “No bio-metano” di Solbiate con Cagno, in provincia di Como; oltre a portare la propria solidarietà all’iniziativa e a porre l’accento sul ruolo particolarmente impegnativo dei Comitati impegnati sul territorio, che necessitano in primis della partecipazione più ampia possibile delle comunità coinvolte come voce “di noi tutti”, non ha mancato di fare riferimento «alla responsabilità individuale di ciascun cittadino, che necessita di diventare responsabilità collettiva con l’impegno di diffondere e veicolare correttamente le informazioni riguardanti il biometano. Notizie in genere, diffuse in rete ed orientate quasi esclusivamente a esprimere valutazioni in un quadro d’insieme discutibilmente descritto come positivo, mentre nella realtà positivo non è. Il Comitato comasco si oppone alla realizzazione di un impianto di biometano che, nelle previsioni, si intenderebbe realizzare nel Parco Valle del Lanza, in una zona caratterizzata da un corridoio ecologico e da collocarsi a una distanza di cento metri dalle abitazioni, circostanza che trova applicazione per la totale mancanza di norme di sicurezza sulle distanze. L’amministrazione comunale ha inizialmente guardato con attenzione all’insediamento, operato come ormai avviene in tutta la Lombardia e non solo, dall’interesse di questi grandi gruppi, che propongono una serie di apparenti attraenti compensazioni, con gli uffici tecnici che non sono preparati sul tema e non riescono a contrapporsi adeguatamente, per opporre, in seconda istanza, un primo diniego alla realizzazione; informa che il Comitato ha avviato un ricorso al Tar e che sta promuovendo una serie di iniziative a sostegno dell’informazione. Conclude ponendo l’accento sull’esigenza di coinvolgere il più possibile tutte le categorie economiche territoriali e sulla necessità di fare rete tra Comitati al fine di conseguire e riprenderci, dichiara, “il nostro diritto alla salute”.»
È seguito il saluto del presidente del Comitato, Bruno Fellegara, che non ha mancato di esprimere il profondo turbamento dall’ascolto dei contenuti esposti. «Non suggestioni quindi o “terrorismo psicologico” come poco prima richiamato e purtroppo sostenuto con enfasi spesso falsa e ipocrita, bensì frutto di studi e di una serie di lavori scientifici rilevabili in letteratura, con altrettanta documentata e rigorosa validazione. Venendo alla situazione sarmatese l’attenzione viene orientata sui contenuti dei recenti monitoraggi eseguiti dagli istituti regionali, Arpae in primis, che definiscono l’atmosfera della bassa Valtidone come estremamente critica. In particolare Sarmato, nell’ultimo resoconto ottobre-novembre 2022, figura con superamenti del limite massimo giornaliero di particolato Pm10 per 10 giorni su 28 di misura; facile quindi ipotizzare il superamento del limite di legge massimo di 35 giorni nell’arco dell’intero anno, circostanza che richiederebbe una serie di misure al fine di agevolare il necessario contenimento degli inquinanti che, come dichiarato dal medico Adele Pazzi, avrebbero inevitabilmente ricadute sulla salute pubblica (ne consegue che anche un ipocritico comprenderebbe che immettere nella atmosfera sarmatese nuovi inquinanti sarebbe oltremodo deleterio e irresponsabile)».
«Ulteriore elemento di irritazione è stato rappresentato dalla lettura delle conclusioni che la stessa società Apis PC1, società “Agricola” proponente, ha inteso sottoscrivere nell’ultima relazione sulle emissioni odorigene, nella quale dichiara che “I valori riscontrati nello studio di ricaduta, sono tali da poter affermare che l’impatto odorigeno sia da considerarsi basso, ma non totalmente trascurabile”. In altre parole i sarmatesi dovranno rassegnarsi per l’ennesima volta al cumulo degli odori; così come è apparso assai singolare vedere condizionato il rilascio dell’Autorizzazione Unica a ben 174 prescrizioni da espletare alcune prima dell’avvio dei lavori ed altre addirittura alcuni giorni prima dall’esercizio dell’impianto».
«Sdegnata e amara, quindi, la relazione del presidente che, se da una lato si dichiara estremamente grato nei confronti dei relatori che caparbiamente diffondono quella scientifica, corretta e necessaria informazione a vantaggio della collettività – in contrasto con una spesso saccente stampa che non manca di glorificare proprietà “prodigiose” ai mega-impianti di biometano – dall’altro esprime la propria delusione per la mancata presenza delle mamme dei 150 bambini che giocano nell’impianto sportivo in prossimità del previsto impianto, così come la mancanza dei giovani e di buona parte delle associazioni sarmatesi. Altro elemento rimarcato è stato l’assoluto disinteresse delle istituzioni che evidentemente hanno ritenuto inopportuno essere portati a conoscenza del “Lato Oscuro” evidenziato nel corso del Convegno Pubblico».
«Nessuna delle amministrazioni di Borgonovo, Castel San Giovanni e Rottofreno ha ritenuto, seppure invitate formalmente, di rispondere al nostro accorato appello. Ma il silenzio più sdegnato non può che essere rivolto al sindaco di Sarmato, che dopo i proclami – solo verbali – di contrarietà all’impianto per presunte criticità rilevate, ha ritenuto in primo luogo di porre la propria firma ad una delibera con la quale dichiarava di esprimere parere negativo ai fini del rilascio dell’autorizzazione, parere negativo del Comune di Sarmato che “tragicamente” in sede di Conferenza di Servizi si è trasformato in parere favorevole (Autorizzazione Unica Ambientale pertanto approvata con il parere positivo unanime di tutti gli enti coinvolti, Comune compreso); fonti ben informate hanno dichiarato che lo stesso primo cittadino, accompagnato da un consigliere comunale e diretto inizialmente verso la sede del Convegno, abbia ritenuto all’ultimo di fare dietro-front e di non partecipare al dibattito».
In conclusione al Convegno ha quindi preso la parola il dottor Beniamino Anselmi, sarmatese doc come ha amato definirsi, che ha ritenuto di rammentare «le azioni che si intendono promuovere nei quattro punti fondamentali alla base della difesa di diritti dei cittadini: una parte amministrativa, quindi, per la quale sono stati avviati i ricorsi, una componente civilistica rivolta ai risarcimenti in solido, una parte penale per gli elementi ritenuti impropri e una parte costituzionale, espressa dall’art. 41 della Costituzione, che riconosce l’osservanza di alcuni diritti fondamentali. A dispetto degli scettici che finora hanno ritenuto di non credere nelle potenzialità del Comitato, viene comunicato che, nel rispetto della legge, il Comitato può disporre delle risorse economiche necessarie al sostegno di tutte le citate azioni di carattere legale. Attraverso l’espressione “Ci sarà pure un giudice a Berlino”, mutuata da un’opera di Bertolt Brecht nella quale si narra la storia del mugnaio Arnold che lotta tenacemente contro l’ imperatore Federico II per vedere riparato un abuso, Anselmi ritiene opportuno e necessario rivolgersi alle istituzioni, per essere ascoltati in difesa dei diritti dei cittadini sarmatesi in quanto, quest’ultimi, ritengono di aver subito una violazione. Ha ritenuto quindi di precisare che non verrà avviata alcuna causa temeraria, poiché il Comitato può disporre di avvocati adeguatamente attrezzati, che avvieranno le cause soltanto se esisterà una ragionevole possibilità di prevalere, avendo cura di toccare il cuore ma molto più importante toccare il portafoglio; è infatti ormai innegabile che gli abitanti e tutta la popolazione, oltre alla salute, rischia una potenziale e forte perdita del valore immobiliare delle nostre abitazioni».
«Conclude riconoscendo la libera iniziativa dell’imprenditore (che evidentemente svolge il proprio mestiere), ma allo stesso modo deve essere riconosciuta l’importanza che la libertà imprenditoriale debba concludersi quando inizia quella della popolazione, soprattutto se quest’ultima subisce un danno; nei ricorsi in tribunale ci rivolgiamo alla legge, senza polemiche o offese nei confronti di nessuno; intendiamo soltanto verificare se è stato leso qualche diritto, democraticamente e nel rispetto delle leggi. Siamo in buona fede, siamo persone per bene e intendiamo esercitare il nostro diritto di sostenere legalmente le nostre ragioni.
«Numerosi gli applausi di consenso all’indirizzo dei relatori, oltre a qualche manifestazione di sofferenza per il mancato sussidio istituzionale per il contrasto all’insediamento, seguito dal dispiacere nei confronti di coloro che hanno perso questa importante, inedita, occasione informativa; il convegno si concludeva ben oltre le 12:30 con la promessa di continue, nuove iniziative. Il Comitato informa infine che il Convegno è stato registrato in audio e video e che i collegamenti per la visione e l’ascolto dei filmati verranno comunicati sui social del Comitato stesso».
https://www.ilpiacenza.it/attualita/il-lato-oscuro-del-biometano-sold-out-per-il-convegno-del-comitato-di-sarmato.html
© IlPiacenza
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Le Interviste di RADIO SOUND
Sindaco Cristian Bertarelli – Impianti Fotovoltaici – 10/06/2025
https://www.radiosound.it/podcast/interviste
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Chi specula sull’energia ai danni dell’agricoltura in Emilia-Romagna
Stefano Liberti, giornalista
11.6.2025

Una mattina di dicembre del 2024, Bruno Carnevali riceve una raccomandata dal rappresentante di una ditta di Milano che non ha mai sentito nominare. Dopo aver presentato l’azienda come “un primario operatore del settore delle energie rinnovabili”, la lettera indica che “da alcune ricerche catastali” Carnevali risulta proprietario “di svariati lotti di circa (sic) 11.646 metri quadrati censiti al catasto di terreni del comune di Rubiera”, in provincia di Reggio Emilia. “Detti terreni”, prosegue il documento, “potrebbero essere di nostro interesse e pertanto vorremmo avere l’opportunità di entrare in contatto con voi per discutere e valutare un’eventuale operazione di compravendita immobiliare”. Seguono email e numero di telefono del rappresentante.
Pur non avendo alcuna intenzione di vendere i terreni su cui la sua famiglia coltiva uva da lambrusco da tre generazioni, Carnevali è incuriosito e decide di chiamare il numero indicato nella lettera. Un signore gentilissimo gli conferma la proposta: l’azienda è interessata a comprare il vigneto vicino all’autostrada per sostituire la coltivazione con pannelli fotovoltaici. E gli dà un’idea del prezzo: “Noi paghiamo dal 40 al 60 per cento in più del valore agricolo. Cioè le garantiamo un guadagno ben più alto di quello che potrebbe darle un altro agricoltore o un’azienda agricola”. Il vigneto, specifica il rappresentante, dovrà essere espiantato e, una volta ottenuta l’autorizzazione dal ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica (Mase), l’azienda completerà l’acquisizione del terreno e installerà i pannelli.
Da quella telefonata è passato qualche mese e oggi, davanti alle sue vigne dove si cominciano a vedere i primi frutti, Carnevali è perentorio: “La proposta è allettante dal punto di vista economico, ma per me è irricevibile. Ti pare che vendo le terre a un’azienda sconosciuta di Milano che le trasforma in un parco energetico? Secondo me c’è un piano per convertire le campagne in distese di pannelli in mano a grandi gruppi economici. Approfittano della crisi agricola per svuotare la terra dai contadini”…Continua su https://www.internazionale.it/reportage/stefano-liberti/2025/06/11/energie-rinnovabili-emilia-romagna
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Biometano, “a Ferrara oltre il 60% degli impianti regionali”. Scatta la protesta
Flash mob dei comitati per chiedere trasparenza, controlli e una distribuzione più equa

Foto d’archivio
“Ferrara ha già dato: oltre il 60% degli impianti di biometano, a livello regionale, si trova qui”. Sarebbe sufficiente questa affermazione a spiegare le motivazioni del flash mob che domani pomeriggio (giovedì 5 giugno, alle 16) si terrà sotto la sede di Arpae, al civico 534 di va Bologna. Ma le ragioni dei comitati ‘No biogas – No biometano’ e ‘ Rete Giustizia Climatica’, promotori della mobilitazione, non si fermano qui.
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L’obiettivo è quello di riaprire il confronto con gli enti pubblici sullo scottante tema degli impianti di biometano nella nostra provincia: “Un confronto che con Arpae – spiega la portavoce Sandra Travagli – si è fermato sul nascere dopo lo scorso ottobre. Come prima cosa, chiediamo la nostra partecipazione alla conferenza dei servizi: so che non possiamo avere potere decisionale, ma il diritto di assistere come uditori è fondamentale per garantire la trasparenza dei processi decisionali. La legge lo permette e finora non è successo”.
L’aumento delle autorizzazioni rilasciate per i nuovi impianti rende urgente, secondo i comitati, l’individuazione di criteri più omogenei e stringenti, ponendo un limite equo per evitarne la concentrazione nella nostra provincia: “Dati regionali alla mano, la disparità nel nostro territorio è evidente. Già i vecchi impianti biogas al 2014, poi – riporta Travagli – necessitavano di biomasse che coinvolgevano l’8% della superficie agraria: possiamo solo immaginare quanto salirà questa percentuale con impianti più grandi”.
Ultima, ma non meno importante, la questione dei controlli: “I cittadini non possono rincorrere Arpae. Se si fanno delle segnalazioni queste devono avere una risposta e una conseguenza. Arpae non ha solo il compito di autorizzare, ma anche di monitorare: senza contare che molti impianti sono stati autorizzati ma non finanziati, e la tracciabilità di tutto questo è un continuo rimpallo tra enti”.
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Biometano, “a Ferrara oltre il 60% degli impianti regionali”. Scatta la protesta
https://www.ferraratoday.it/cronaca/impianti-biometano-flash-mob-arpae-comitati-no-biogas-rete-giustizia-climatica.html
© FerraraToday
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https://www.estense.com/2025/1137338/no-biogas-comitati-e-rete-giustizia-climatica-davanti-ad-arpae/
Orzinuovi, liquami nei campi: malore per un bambina
L’episodio segnalato dalle autorità sanitarie ad Arpa che è risalita agli autori degli spandimenti zootecnici, rimasti sul terreno oltre il consentito.

Orzinuovi. Una bambina residente a Orzinuovi (Brescia) è rimasta intossicata dai miasmi causati dagli spandimenti agricoli nei campi che circonadano l’abitazione in cui vive con la famiglia.
Come riporta Bresciaoggi, la piccola ha accusato un malore che è stato segnalato dalle autorità sanitarie a quelle ambientali. Arpa ha effettuato i controlli, risalendo così ai responsabili ed è stata emessa una diffida a cui potranno seguire anche sanzioni.
Diverse le segnalazioni giunte dai residenti tra Orzinuovi e Roccafranca per le forti concentrazioni di ammonica esalate dagli spandimenti zootecnici, rimasti sul terreno oltre il consentito (ovvero 24 ore) evidentemente in concentrazioni oltre la normativa che, oltre al disagio olfattivo, hanno causato un forte presenza di insetti. I liquami sono poi stati interrati, ma si tratta di una situazione che, periodicamente, viene a presentarsi nelle zone agricole del Bresciano.
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https://www.ilrestodelcarlino.it/reggio-emilia/cronaca/subito-stop-al-biometano-richiesta-122f6ded
“Subito stop al biometano”. Richiesta ufficiale in Regione
Lettera consegnata formalmente al presidente Michele de Pascale. C’è la firma, tra gli altri dal Comune di Gualtieri e del comitato ‘Aria Buona’. .
Foto di gruppo per i firmatari della richiesta ufficiale alla Regione
Richiesta di sospensione dell’iter per il progetto dell’impianto di biometano previsto a Santa Vittoria di Gualtieri. E’ stata presentata con lettera formale al presidente della Regione, Michele de Pascale, firmata dal sindaco gualtierese Federico Carnevali, dai capigruppo consiliari Andrea Catellani, Silvio Borgonovi e Stefania Cacciani, con Paolo Ferrarini, portavoce del comitato Aria Buona. Il messaggio al governatore dell’Emilia-Romagna è chiaro: ‘Sospensione dell’iter autorizzativo in corso per l’impianto di biometano previsto a Santa Vittoria di Gualtieri’. ’Questa azione – aggiungono dal municipio – si inserisce, in un percorso di mobilitazione condiviso da istituzioni e cittadini, che ha visto l’espressione di pareri contrari all’opera da parte del Comune di Gualtieri, dell’Unione Bassa Reggiana e della Provincia, tutti approvati all’unanimità nei rispettivi consigli‘.
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IMPIANTO BIOMETANO GAIBANELLA, IL COMUNE PRESENTA IL RICORSO AL TAR DI BOLOGNA CONTRO L’AUTORIZZAZIONE ALLA COSTRUZIONE CONCESSA DA ARPAE.
17-03-2025 / Punti di vista
SINDACO: “LE DISTANZE MINIME TRA IMPIANTI E ABITAZIONI SONO A TUTELA DELLA QUALITÀ DELLA VITA DELLE PERSONE, NON UN FATTORE OPINABILE”
Ferrara, 17 marzo 2025 – Il Comune di Ferrara ha presentato ricorso al Tar di Bologna contro l’atto con cui Arpae ha autorizzato la BioFE srl a realizzare un impianto di produzione di energia elettrica da fonte rinnovabile (biometano), a Gaibanella, con le relative opere di connessione. La richiesta al giudice è quella di chiedere l’annullamento dell’autorizzazione di Arpae, l’Agenzia regionale per la prevenzione, l’ambiente e l’energia dell’Emilia-Romagna.
“Come avevamo già anticipato, oggi abbiamo presentato ricorso al Tar contro l’autorizzazione di realizzare un impianto di biometano a Gaibanella. Le distanze minime tra gli impianti e le abitazioni non sono un fattore per noi opinabile, ma sono garanzia di qualità della vita dei cittadini che in quella frazione abitano”, ha detto il sindaco Alan Fabbri.
La decisione di proporre ricorso al Tar era stata infatti deliberata lo scorso febbraio dalla Giunta municipale, su proposta dell’assessore con delega agli Affari legali Francesca Savini.
A motivare la scelta di promuovere ricorso è il fatto che l’autorizzazione da parte di Arpae sia stata adottata nonostante il parere contrario – adottato all’unanimità – del Consiglio Comunale di Ferrara, organo competente in materia di pianificazione urbanistica, unico titolato ad esprimere la valutazione in merito alla deroga agli strumenti urbanistici. Il ricorso è stato affidato all’avvocato Giuliano Onorati, del foro di Ferrara.
(Ferrara Rinasce)
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Il territorio ferrarese non diventi un distretto del biogas

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Oggetto: Mozione per la Promozione e lo Sviluppo degli Impianti a Biometano e Biogas
(Al Sindaco del Comune di Ferrara-Al Presidente Consiglio Comunale di Ferrara)
Clicca: https://1drv.ms/b/c/3d28a81f59f908f9/EZnJofkrf-dJl6lb8cYQHqUBrfcAOvsl1Pu0DCaZ_yV2Gg
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Incontro Pubblico Informativo
Sabato 08 Febbraio 2025
Hotel Cristallo ROVIGO
h 9,30-12,30


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Greenpeace vince la causa contro il governo olandese sugli allevamenti intensivi

Greenpeace Olanda ha vinto la causa intentata contro il governo dei Paesi Bassi per non aver preso misure adeguate a ridurre i livelli di azoto nell’ambiente, dovuti in gran parte agli allevamenti intensivi. La sentenza è arrivata il 22 gennaio e ha confermato che gli habitat naturali olandesi sono stati effettivamente deteriorati da questo tipo di inquinamento, e che la normativa di riferimento non è stata rispettata dai Paesi Bassi. Ora il governo olandese dovrà adottare misure efficaci per portare, entro il 2030, metà delle aree naturali sensibili all’azoto al di sotto delle soglie critiche stabilite.
Coninua su:https://www.arianuovabondeno.com/conferenze/
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L’impianto per la produzione di biometano nel Comune di Ferrara: parliamo di ricadute sulla salute
continua su … Ambiente e Salute
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La contaminazione da TFA: indistruttibile e persistente
Questo composto a catena ultracorta finito al centro delle attenzioni del mondo scientifico solo negli ultimi anni ha mostrato un’ampia diffusione in Italia. Il TFA (Acido Trifluoroacetico) è stato ritrovato nel 40% dei campioni analizzati, ovvero 104 su un totale di 260. Ad eccezione di Arezzo, in tutti gli altri campioni in cui è stata accertata la presenza di TFA, questo costituiva la quasi totalità dei PFAS misurati in termini di massa. È lampante poter constatare che la concentrazione di questa molecola sia spesso presente in quantità maggiori, di almeno un ordine di grandezza, rispetto agli altri PFAS. Queste evidenze sono in accordo con gli esiti di indagini recenti effettuate su acque potabili e minerali europee.

Il comune di Castellazzo Bormida (AL) ha mostrato i valori più elevati di TFA (539,4 nanogrammi per litro), seguito da Ferrara (375,5 nanogrammi per litro) e Novara (372,6 nanogrammi per litro). Concentrazioni molto alte si registrano anche ad Alghero (SS), Cuneo, Sassari, Torino (Corso Castelfidardo), Cagliari (Piazza Italia), Casale Monferrato (AL) e Nuoro. Sia a Torino che a Cagliari, il TFA è stato trovato in tutti i campioni prelevati in entrambe le città, sebbene a concentrazioni più basse. La Sardegna (77% dei campioni positivi), il Trentino Alto Adige (75% dei campioni positivi) e il Piemonte (69% dei campioni positivi) sono le Regioni in cui la contaminazione da TFA è risultata essere più diffusa.
Continua su:https://www.greenpeace.org/italy/storia/26119/pfas-analisi-acqua-potabile-in-tutte-le-regioni-d-italia/
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Il territorio della Provincia di Ferrara è caratterizzato da anni da una massiccia presenza di impianti biogas. Nell’ultimo periodo le nuove misure a favore della produzione di biometano stanno provocando una forte accelerazione del rilascio di autorizzazioni per nuovi impianti e di riconversione dei vecchi impianti biogas.
Il Coordinamento dei Comitati chiede da tempo che venga affrontata con disponibilità e urgenza una pianificazione di questi interventi per le forti ricadute che questi hanno a livello ambientale e sulla salute e la sicurezza degli abitanti e per le profonde modificazioni che produrranno sul territorio con effetti, forse irreversibili, per i prossimi decenni.
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Link News
La giunta esce allo scoperto: “Centrali a biogas? No, grazie”
Copparo: la scelta di mettere il diniego su due delibere per ragioni politiche e di opportunità “Già il Polo Crispa, l’allevamento di bovini e avicolo, il digestore di Formignana e l’impianto di biometano”.
Copparo: la scelta di mettere il diniego su due delibere per ragioni politiche e di opportunità “Già il Polo Crispa, l’allevamento di bovini e avicolo, il digestore di Formignana e l’impianto di biometano”.
L’amministrazione comunale di Copparo dice ‘no’ a due nuovi impianti di produzione di biometano. Se i progetti possono essere considerati idonei dal punto di vista tecnico, la giunta guidata dal sindaco Fabrizio Pagnoni ha scelto invece di mettere ‘nero su bianco’ la propria contrarietà dal punto di vista politico e di opportunità, attraverso due delibere approvate nel corso dell’ultima seduta. Gli iter autorizzativi per i due impianti sono stati intrapresi dalla società agricola Rightenergy e dalla società agricola Stella, per la realizzazione e l’esercizio di impianti di produzione di biometano da sottoprodotti di origine agricola, alimentare e/o agroindustriale e reflui zootecnici. E per entrambe, Arpae ha attivato la Conferenza dei servizi.
La giunta copparese ha preso in considerazione diversi aspetti e anche le osservazioni pervenute dall’Associazione Il Melograno Comitato Vivere Meglio, che ha richiesto di esprimere parere contrario alle nuove realizzazioni. Innanzitutto ha rimarcato la concentrazione in pochi chilometri quadrati di numerosi impianti: il Polo Crispa, l’allevamento di bovini e l’allevamento avicolo intensivo a Jolanda di Savoia, il digestore di Formignana, l’impianto di biometano da rifiuti organici in corso di realizzazione nell’area adiacente alla discarica Crispa. Non a caso il Piano Regionale di gestione dei Rifiuti e per la Bonifica delle aree inquinate della Regione fa proprio, tra gli altri, il principio della equa distribuzione territoriale dei carichi ambientali.
Si ipotizza che a tale concentrazione possano essere legate le numerose segnalazioni ricevute da parte di cittadini residenti ad Ambrogio e Brazzolo relativamente alla percezione di cattivi odori, specie nel periodo estivo. La giunta ha poi tenuto conto dell’inadeguatezza dell’area di intervento in termini paesaggistici: è infatti ubicata all’interno del sito Unesco “Ferrara Città del Rinascimento e il suo Delta del Po”, in prossimità peraltro di Villa Pavanelli di Zenzalino e del suo viale alberato, riconosciuto strada di interesse storico-paesaggistico.
https://www.ilrestodelcarlino.it/ferrara/cronaca/la-giunta-esce-allo-scoperto-9dec9adf
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Centrale a biometano: arriva il no
L’amministrazione comunale ha deciso. Il sindaco: “Abbiamo lavorato con professionalità”

11.11.2024 – 16:30
https://www.polesine24.it/cronaca/2024/11/11/news/centrale-a-biometano-arriva-il-no-297847
Un impianto a biometano
Il sindaco Gotti dice no alla centrale. Nei giorni scorsi la giunta comunale trecentana ha espresso, con delibera, parere sfavorevole al progetto del biometano che tanto aveva fatto discutere negli ultimi mesi.
“Nessun silenzio – spiega il primo cittadino riferendosi alle recenti polemiche sollevate sul caso – c’è chi lavora e chi invece preferisce insinuare. Come era stato più volte promesso e dichiarato, ho lavorato con la giunta e i consiglieri, in questo mese per raccogliere , di concerto con le associazioni di categorie degli agricoltori e degli enti competenti, ma anche con mirati sopralluoghi ed accessi ai siti d’interesse, tutte le informazioni corrette per formulare un parere che fosse fondato e quindi che ponesse poi le basi per redigere le osservazioni e le richieste di integrazioni da formulare in sede di conferenza di servizi che ad oggi, si rammenta, non è stata ancora indetta”, continua il sindaco Gotti.
“Ovviamente, solo dopo aver ottenuto le informazioni certe dai soggetti maggiormente coinvolti e titolati a farlo, siamo arrivati alla conclusione concorde ed unanime che il progetto dell’impianto di biometano, per le sue caratteristiche, la sua ubicazione, per il contesto socioeconomico, per le caratteristiche agronomiche del nostro territorio e per la generale indisponibilità a conferire le matrici da parte degli imprenditori locali, per tutte le molteplici criticità circa la viabilità locale, per la compresenza e quindi le interferenze con le altri due centrali, biogas e biomassa, nelle immediate vicinanze, non poteva che raccogliere il parere sfavorevole alla sua realizzazione da parte di questa amministrazione”.
La posizione sfavorevole all’impianto da parte dell’amministrazione era già stata anticipata lo scorso 28 ottobre dallo stesso sindaco e dal vicesindaco Cristina Lunardi in occasione dell’ultimo tavolo verde conclusivo, convocato con i rappresentanti delle associazioni di categoria degli imprenditori agricoli.
“Il grande lavoro svolto con gran parte dei soggetti coinvolti e con alcuni enti, si è dunque tradotto in una delibera di giunta di indirizzo con la relativa presa di posizione sfavorevole al progetto per tutte le motivazioni descritte e che tracciano il perimetro entro il quale gli uffici dovranno poi redigere le loro osservazioni ed integrazioni – prosegue il sindaco – Per chi è abituato a lavorare con professionalità e serietà comprenderà come sia del tutto inopportuno e oltremodo irrituale, in assenza di avvio del procedimento amministrativo da parte della Regione, anticipare e fornire in questa fase ulteriori informazioni di dettaglio su quelle che saranno le richieste ed osservazioni tecniche del comune”.
Il sindaco ha poi voluto ringraziare “per la serietà ed onestà intellettuale con cui hanno da sempre operato i rappresentanti locali della Coldiretti, di Confagricoltura, e del Cai a fianco dell’amministrazione, i quali, durante tutti gli incontri istituzionali che abbiamo indetto in questo periodo in seno al tavolo verde, hanno fornito, in un confronto costruttivo e leale, tutte le informazioni utili che motivano, anche per vari e complessi aspetti agronomici, la non sostenibilità produttiva ed economica del progetto presentato sul nostro territorio”.
Il sindaco Gotti ha poi voluto togliersi anche qualche sassolino dalla scarpa. “Non posso e non intendo invece dare retta e ascolto a chi, peraltro dimostrando di non conoscere neppure la normativa ambientale in materia di rifiuti e la procedura amministrativa, affiancato da un presunto gruppo/comitato neo costituito e portavoce che preferisce rimanere nell’anonimato, vorrebbe ‘comandare’ alla mia giunta ‘cosa fare, quando e cosa richiedere’ usando toni assolutamente impropri, accidiosi, avanzando insinuazioni e accuse false ed inaccettabili circa il mio presunto ‘favore’ verso il progetto – chiosa il primo cittadino – sconfessate peraltro dalla realtà dei fatti, malignità dettate evidentemente solo da rancori personali e da frustrazioni per la prolungata astinenza da incarichi politici”.
“Le decisioni importanti che impattano sulla qualità della vita e sull’economia di un territorio sono la priorità di questa amministrazione e debbono proprio per questo essere frutto di una maturata e documentata analisi; al contrario scegliere con superficialità, totale incompetenza e ignoranza, come spesso leggo, solo per tentare di ritrovare perduti consensi o appagare evidentemente velleità personali, a mio modo di vedere, non è fare una buona politica e, soprattutto, non porta al risultato che ci si prefigge. La politica fatta di proclami propagandistici, di insinuazioni, di attacchi strumentali volgari, di volantinaggio vigliacco e compulsivo, di chiacchericcio da bar, di riunioni carbonare, ha fatto il suo tempo e, soprattutto, ai trecentani non ritengo sia di nessuna utilità e interesse se vogliono davvero cambiare in meglio le cose. Che sia chiaro a tutti – conclude Gotti senza risparmiare un’ultima stilettata – questa amministrazione ha un nuovo volto e modus operandi e lavora per il bene di tutti i cittadini e non certo per ambizioni personali”.
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Sversamento liquami zootecnici nei campi: Legambiente annuncia un esposto
AMBIENTE. Dopo il caso di 50 lavoratori intossicati a Telgate per le esalazioni causate dallo spandimento di liquami provenienti dagli allevamenti, l’associazione ambientalista pone l’accento su un problema che affligge tutta la pianura padana.

Dopo l’ennesimo episodio di malori legati ad emissioni moleste da spandimento di liquami zootecnici, che ha intossicato 52 dipendenti di una logistica a Telgate, Legambiente annuncia un esposto alla Procura di Bergamo e ai carabinieri Forestali, per contestare la legittimità della condotta dei responsabili dell’inquinamento.
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Telgate, spargono liquami nei campi agricoli: 16 dipendenti di una ditta vicina intossicati e portati in ospedale
di Redazione Bergamo online

Valutate sul posto 52 persone, 16 portate in ospedale. L’allarme nella mattina di oggi,
domenica 3 novembre
Intossicazione nella ditta Notino di Telgate nella mattinata di oggi, domenica 3 novembre. È successo poco dopo le 9, nell’azienda di via Lombardia che si occupa di logistica. «A seguito di verifiche effettuate in posto dagli enti di competenza – fa sapere Areu – si conferma intossicazione causata da liquami sparsi in campi agricoli adiacenti al polo logistico».
Il personale di Areu sul posto ha valutato 52 persone che si trovavano in azienda. Accusavano nausea, vomito, mal di testa e mal di pancia. Sono stati ospedalizzati 16 pazienti in codice verde /giallo (quindi nessun in pericolo di vita) con sintomi da intossicazione, nei seguenti ospedali: Seriate, Chiari, Ponte San Pietro e Papa Giovanni.
https://www.ilgiorno.it/bergamo/cronaca/intossicazione-polo-logistico-notino-telgate-la85r27p
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Link...Oggetto: osservazioni alla conversione della centrale denominata Energy UNO da impianto biogas a biometano posto in via per Zerbinate n.46b (verificare numero civico) a Bondeno di Ferrara
Biometano a Trecenta: dalla platea un coro di No contro l’impianto

Il territorio boccia un progetto potenzialmente pericoloso che si regge sulla incentivazione da Pnrr. Oltre 250 persone al dibattito pubblico al Teatro Ferrini
Trecenta – La sindaca Anna Gotti ha avuto il merito, non scontato (altri sindaci in analoghe situazioni non l’hanno fatto) d’incontrare la cittadinanza, organizzando un incontro pubblico informativo sul richiesto impianto per la produzione di biometano dal trattamento di rifiuti agricoli che vorrebbe sorgere in via Albarello.
Lunedì 30 settembre, non meno di 250 trecentani e non solo hanno affollato il Teatro Ferruccio Martini, opportunamente presidiato dalle forze dell’ordine coordinate dal maggiore dei carabinieri Paolo Li Vecchi, per quello che si è rivelato un confronto civile, seppur dai toni accesi. L’argomento, del resto, è fra quelli divisivi e si temeva qualche eccesso.

Erano presenti diversi amministratori dei comuni vicini ed i rappresentanti di categoria del territorio, a testimonianza dell’interesse per l’intreccio fra le ragioni dei proponenti e il corale dissenso emerso fra il pubblico per l’impianto per la produzione di biometano dal trattamento di rifiuti agricoli. Lucia Ghiotti, sindaca di Salara, è intervenuta per dire che “Capisco le esigenze della transizione ecologica, ma a prescindere o meno dalla qualità tecnica dei progetti, ne stanno calando un numero eccessivo nel Polesine e nel basso Veneto” riferendosi alla richiesta di autorizzazione per un parco agrifotovoltaico a Salara che tocca pure Trecenta per il fatto che andrebbe realizzata in quel territorio una cabina elettrica per la messa in rete dell’energia pulita prodotta.
Per trattare del progetto agrivoltaico di Salara e Trecenta è intervenuto in collegamento da remoto il tecnico Roberto Carcangiu di “Peridor solar srl”, “L’unica società con la quale abbiamo avviato una conferenza dei servizi” ha affermato Ghiotti.

L’argomento agrivoltaico è scomparso dalla discussione quasi subito, alla luce del fatto che non ruba suolo agricolo, non impermeabilizza il terreno, non è climalterante e nella vesione “avanzata” è auspicato anche dal ministro all’Agricoltura Francesco Lollobrigida che lo ha inserito nell’ultimo DL Agricoltura che vieta, invece, il fotovoltaico a terra su suolo agricolo.
La sindaca Gotti, nel ruolo di moderatrice, ha preliminarmente invitato i presenti a fare “…un processo veramente critico ma costruttivo”, rammentando che questa è una fase assolutamente preliminare per il futuro, non scontato, dell’impiato per la produzione di biometano.
Vale la pena di dire che solo Luigi Lazzaro, presidente regionale di Legambiente, ha manifestato parere cautamente favorevole all’insediamento dell’impianto (seppur con dei distinguo) mentre, Gianni Bregolin di Italia Nostra, ha fortemente criticato il progetto esprimendo contrarietà. Bregolin, pur ammettendo la necessità di ricorrere alle energie rinnovabili per accelerare la decarbonizzazione, ha posto l’accento sugli impatti potenziali in termini di emissioni odorigene e inquinanti e di come questi progetti si reggano solo grazie alla forte incentivazione dal Pnrr.
Se all’ing. Giuseppe Romani è spettato introdurre l’argomento parlando dell’iter autorizzativo degli impianti di energia rinnovabili, gli ingegneri Giammateo Bordignon e Enrico Lanzoni con l’agronomo Lorenzo Maggioni della “BMT8 srl” Società di scopo che ha progettato l’impianto di Biometano hanno ovviamente sostenuto le ragioni a favore della realizzazione.
Fra i numerosi interventi dal pubblico, tutti di orientamento contrario all’impianto, si segnala per l’inattesa moderazione quello dell’ex sindaco Antonio Laruccia, che però ha concluso dicendo “Trecenta non deve salvare il mondo”, invitando i sindaci a chiedere la valutazione di impatto sanitario, “…necessario in quanto l’ipotizzato impianto sorgerà nelle vicinanze la struttura ospedaliera del San Luca”. A latere Laruccia ha comunque espresso la convinzione che la sindaca sia sostanzialmente favorevole alla realizzazione del progetto.
continua su:https://www.rovigo.news/biometano-a-trecenta-dalla-platea-un-coro-di-no-contro-limpianto/
INTERPELLANZA – Presentata dal gruppo “La Comune” in Consiglio comunale
Richiesta in merito a costruzione di nuovo impianto di biometano a Vigarano Mainarda
20-09-2024 / Giorno per giorno
Questa l’interpellanza pervenuta agli uffici comunali:
– i consiglieri dei gruppi consiliari di minoranza (La Comune, M5S, Civica Anselmo, PD) del Consiglio comunale di Ferrara) ha interpellato il sindaco Alan Fabbri in merito alla costruzione di un nuovo impianto di biometano nel Comune di Vigarano Mainarda (FE), ma con accesso da via Catena (Ferrara).
>> Pagina riservata alle interpellanze/interrogazioni presentate dai Consiglieri comunali e relative risposte (a cura del Settori Affari Generali/Assistenza agli organi del Comune di Ferrara) all’indirizzo www.comune.fe.it/it/anagrafe-pubblica-degli-eletti-e-pubblicizzazione-atti/interrogazioni-e-interpellanze
Allegati scaricabili:

Partecipa all’assemblea pubblica organizzata dalle opposizioni, Mobilitazione
Giovedi 19 Settembre, alle 0re 18.30 davanti al Municipio
BIOMETANO. Vigaranesi in piazza contro un’altra Centrale…

https://www.estense.com/2024/1094775/biometano-vigaranesi-in-piazza-contro-unaltra-centrale/
Vigarano (FE). Anche il PD chiede di fermare la centrale biometano…
Ultimi aggionamenti Link/ continua su: https://www.estense.com/2024/1093913/vigarano-anche-il-pd-chiede-di-fermare-la-centrale-biometano/
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https://www.arianuovabondeno.com/conferenze/
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Vediamo quanto inquiniamo: foto di un pianeta da salvare

Quanto inquiniamo? Più che le parole, a volte, sono le immagini a rendere consapevoli.
Continua su: https://www.arianuovabondeno.com/ambiente-e-
Ferrara, già superate le giornate di sforamento nel 2024 per PM10 nell’aria
A Ferrara i più recenti dati mostrano PM10 e PM2.5 ancora a livelli troppo preoccupanti, superato il limite di giornate di sforamento. Perché?
10 Maggio 2024, 07:52

Sommario
- Il progetto Air-Break e il miglioramento della qualità dell’aria a Ferrara
- La qualità dell’aria: a Ferrara preoccupa il PM10
- PM10 la media annuale a Ferrara
- PM2.5 a Ferrara
- In recupero sul biossido di azoto
……Continua su: https://www.consulcesi.it/legal/ambiente/blog/inquinamento-aria-ferrara-superate-giornate-sforamento-pm10
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I liquami sono responsabili anche dell’acidificazione del suolo
Ma il problema non è solo l’emissione nell’aria di ammoniaca. I liquami infatti sono anche complici dell’acidificazione del suolo e dell’inquinamento delle acque superficiali e sotterranee. In Italia lo spandimento di liquami è regolato da un’apposita normativa che stabilisce quali sono i periodi dell’anno in cui gli allevamenti possono appunto spandere i liquami accumulati e poi trattati nei campi, usandoli come fertilizzante.
Purtroppo però non sempre queste leggi vengono rispettate e noi di Animal Equality nelle nostre inchieste negli allevamenti abbiamo più volte dimostrato come il trattamento di questi pericolosi rifiuti sia spesso inadeguato: liquami non trattati e altamente inquinanti senza contenimento che finiscono direttamente nel terreno, sversamenti irregolari, mancato trattamento di animali morti e dei loro cadaveri. Tutte pratiche che fanno “ammalare” il terreno e la falda acquifera del nostro Paese.
Una legge contro gli allevamenti intensivi, la proposta delle associazioni ambientaliste

Un gruppo di associazioni ambientaliste ha presentato alla Camera dei Deputati una legge per fermare la produzione insostenibile degli allevamenti intensivi.
- Gli allevamenti intensivi sono sistemi produttivi insostenibili dal punto di vista del benessere animale e della salute umana e ambientale.
- Con il consumo di carne attuale, ogni italiano emette il doppio di CO2e di quanto farebbe con la dieta mediterranea nella sua versione originale, con un limitato consumo di carne.
- Alcune associazioni ambientaliste hanno presentato una proposta di legge per fermare l’espansione degli allevamenti intensivi e creare sistemi alimentari a favore di animali, consumatori, piccoli agricoltori.
Una proposta di legge per cambiare gli allevamenti intensivi: l’hanno presentata il 22 febbraio scorso, in una conferenza stampa presso la Camera dei Deputati, Greenpeace, Wwf Italia, Isde – Medici per l’ambiente, Lipu, Terra!. A sostegno dell’iniziativa sono intervenuti, tra gli altri, i deputati Michela Vittoria Brambilla (Noi Moderati), Eleonora Evi (Alleanza Verdi Sinistra), Carmen Di Lauro (Movimento 5 Stelle), Andrea Orlando (Partito Democratico) e il Comitato locale G.A.E.T.A. di Schivenoglia (MN).

Stop agli allevamenti intensivi: gli obiettivi della proposta di legge
L’obiettivo della proposta è cambiare il sistema produttivo degli allevamenti intensivi che, come sottolineato dai relatori, danneggia la salute, il benessere degli animali, l’ambiente e le piccole aziende. Le richieste delle associazioni ambientaliste sono:……..(Continua su:https://www.lifegate.it/proposta-legge-contro-allevamenti-intensivi)
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Gli allevamenti intensivi possono anche produrre un cocktail di agenti contaminanti, in particolare agenti patogeni come il batterio E. coli, metalli pesanti e pesticidi. Questi contaminanti rappresentano una minaccia potenziale per la nostra salute, oltre che per quella di altri animali e vegetali.
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L’allevamento intensivo inquina i terreni, le acque e i mari, contaminando la natura con tossine potenzialmente mortali.
Con migliaia di animali ammassati in luoghi chiusi, questi allevamenti intensivi sono suscettibili di creare tutta una gamma di agenti inquinanti. Queste sostanze inquinanti possono danneggiare al tempo stesso l’ambiente naturale, gli animali e le piante.
Nel 2006, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura (FAO) ha descritto l’allevamento intensivo come «… uno dei fattori che maggiormente contribuiscono ai più gravi problemi ambientali attuali».
Molti animali significano molto cibo
Metodi di allevamento più tradizionali sono spesso efficaci per trasformare l’erba e certe deiezioni in alimenti utili per il bestiame. Il modello di allevamento « crescita rapida, rendimento elevato » è invece molto meno efficace, perché utilizza delle quantità considerevoli di cereali e di soia ricca di proteine per rispondere alle necessità alimentari degli animali. Le colture di cereali ricevono quantità massicce di pesticidi e di fertilizzanti ricchi d’azoto e fosforo per stimolarne la crescita, ma una gran parte di questi prodotti può diffondersi nei terreni e nelle falde freatiche.
« L’allevamento bovino americano è responsabile di circa un terzo dell’azoto e del fosforo che si riversa nelle acque dolci del paese. (Fonte: FAO, 2006) »
Molti animali significano molti rifiuti
Gli animali degli allevamenti producono ogni giorno grandi quantità di rifiuti ricchi di azoto e fosforo. Questo fatto può essere di per sé un elemento positivo: le deiezioni di origine animale possono servire da letame e reintegrare il suolo di alcune sostanze nutritive. Tuttavia, negli allevamenti intensivi, la concentrazione degli animali all’interno di capannoni chiusi significa in genere che i rifiuti sono fortemente concentrati su zone relativamente ristrette. Se questi rifiuti non vengono gestiti ed eliminati correttamente, e ciò accade spesso, finiscono nell’ambiente naturale.
« Certi grandi allevamenti producono più rifiuti grezzi della popolazione umana di una grande città americana. (Fonte: US Government Accountability Office, 2008) »
Un inquinamento potenziale
L’azoto e il fosforo possono essere all’origine di gravi problemi, per esempio quando si ritrovano nei corsi d’acqua. La loro presenza massiccia provoca la proliferazione di alghe che monopolizzano l’ossigeno presente nell’acqua, il che può uccidere le piante e gli animali, se non addirittura lasciare delle vaste «zone morte» nelle quali possono sopravvivere solo poche specie.
Una parte dell’azoto diventerà gassoso, trasformandosi per esempio in ammoniaca; ciò contribuisce ad acidificare le acque e a ridurre lo strato di ozono. Inoltre, possiamo subire delle conseguenze dirette e immediate, poiché può essere minacciata la qualità dei nostri approvvigionamenti idrici.
« L’allevamento del bestiame è responsabile di oltre il 60% delle nostre emissioni globali di ammoniaca. (Fonte: FAO, 2006)»
Altri effetti negativi
Gli allevamenti intensivi possono anche produrre un cocktail di agenti contaminanti, in particolare agenti patogeni come il batterio E. coli, metalli pesanti e pesticidi. Questi contaminanti rappresentano una minaccia potenziale per la nostra salute, oltre che per quella di altri animali e vegetali.
« Il liquame di maiale è 75 volte più inquinante dei liquami domestici grezzi. (Fonte: Archer, 1992) »
Cosa puoi fare?
L’allevamento intensivo inquina l’ambiente. Intraprendendo azioni per limitare l’allevamento intensivo, non partecipiamo semplicemente a una rivoluzione agricola e alimentare, ma combattiamo anche uno dei più urgenti problemi ambientali.
- Informati sui diversi metodi di allevamento degli animali
- Consulta la pagina sul Consumo responsabile
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Biodigestore, la critica di Tamino: «Il biometano è inquinante, l’economia circolare è altro»

di Lorenzo Furlani
3 Minuti di Lettura
Lunedì 5 Luglio 2021, 09:35 – Ultimo aggiornamento: 13:35Condividi
VALLEFOGLIA – La relazione in programma contraddice la narrazione comune divulgata da un coro di fonti – produttori, istituzioni, politici pressoché di tutti gli schieramenti e media – sulle virtuose funzioni della digestione anaerobica, la lavorazione degli scarti alimentari e delle potature accreditata come processo di economia circolare perché recupera dai rifiuti biometano e compost per l’agricoltura.
La narrazione contraddetta
Il titolo è molto significativo: “La produzione di biometano è inquinante e non sostenibile”. Su questo tema il biologo Gianni Tamino, docente in pensione dell’università di Padova e membro del comitato scientifico di Isde (l’associazione dei medici per l’ambiente), aprirà stasera l’incontro pubblico “No al biodigestore di Vallefoglia” organizzato nella sala polivalente di Bottega dall’associazione Diversamente e dalla rete Pesaro Città Sostenibile, con inizio programmato alle 20,30 (forse con diretta Facebook).
«Non si può parlare di un’energia rinnovabile per quanto riguarda il biometano soprattutto quando viene prodotto dalla frazione organica dei rifiuti urbani», afferma il professor Tamino, anticipando i contenuti della sua relazione e contraddicendo sul punto l’ultimo comunicato – e, a caduta, l’intero progetto ambientale – di Green Factory, la società di Marche Multiservizi costituita per realizzare a Talacchio di Vallefoglia un digestore anaerobico da 105mila tonnellate di rifiuti all’anno: «Dai rifiuti organici il biometano, combustibile rinnovabile al 100%».
«Questo concetto – spiega Gianni Tamino – sottintende che bisogna rinnovare a monte la produzione dei rifiuti, mentre l’indicazione europea è quella di ridurre i rifiuti; si può produrre quel tipo di biometano solamente continuando a produrre rifiuti, che invece dovremmo tendenzialmente appunto ridurre. Secondo l’indicazione molto più logica dell’Unione europea non dobbiamo considerare economia circolare quella che porta al recupero di energia bensì quella che porta al recupero di materia.
Quindi dalla frazione organica dei rifiuti urbani noi dobbiamo recuperare compost senza produzione di biogas o biometano».
«Così si genera CO2»
La discriminante sono le emissioni climalteranti, ossia la famigerata anidride carbonica, principale gas che causa l’effetto serra e produce il cambiamento climatico.
«Tendenzialmente dobbiamo riciclare – argomenta Tamino – ma questa economia circolare non si ottiene producendo energia, perché l’energia si genera solo bruciando qualcosa e il biometano bruciato comporta inquinamento ed emissione di CO2. Quindi, per recuperare la materia senza inquinare, bisogna produrre direttamente il compost per l’agricoltura con la digestione aerobica, perché con quella anaerobica, ossia senza ossigeno, per ottenere il compost (come prodotto derivato, ndr) serve altra energia. Tra l’altro dal biogas al biometano occorre un passaggio, un upgrade, che comporta liberazione di altra CO2 e di sostanze inquinanti».
«Si guadagnano solo gli ecoincentivi»
Le uniche energie pulite sono quelle del sole, del vento, dell’acqua. Cosa si guadagna a produrre biometano? Niente dal punto di vista collettivo perché il biometano ottenuto è irrisorio come energia complessiva, si ottengono solo un po’ di incentivi per chi lo produce (gli utili, ndr) senza i quali il biometano è fuori mercato. L’errore sono gli ecoincentivi del governo».
All’incontro a Bottega di Vallefoglia interverranno anche Marco Grondacci giurista ambientale sul tema: “Biodigestori senza regole: il caso Vallefoglia”, Massimo Gianangeli presidente del comitato tutela salute e ambiente Vallesina su “Biodigestore e diritti dei cittadini” e Andrea Torcoletti presidente dell’associazione Diversamente su “Biodigestore: i nostri primi otto mesi di lotte”.
Da impianto di riciclo rifiuti Co2 per usi alimentari
A Asciano: riduce a 5% conferimento discarica, produce biometano
ASCIANO (SIENA), 14 marzo 2024, 13:09
Da impianto di riciclo rifiuti Co2 per usi alimentari – Notizie – Ansa.it

Incremento del riciclo di rifiuti e riduzione dal 20 al 5% del conferimento in discarica oltre alla produzione di biometano da rifiuti organici da immettere in rete, corrispondente al fabbisogno di 1800 famiglie.
E’ il nuovo impianto di riciclo dei rifiuti alle Cortine nel comune di Asciano (Siena), inaugurato questa mattina dopo 18 mesi di lavori, nel quale è installato anche un sistema di cattura dell’anidride carbonica che ha ottenuto, tra i pochissimi in Italia, la certificazione per usi alimentari della Co2 estratta.
Di proprietà di Sienambiente, l’impianto è dotato delle più moderne tecnologie e di un sistema di trattamento delle raccolte differenziate tra i più avanzati e innovativi a livello nazionale.
Nuove tecnologie che porteranno un contributo concreto all’economia circolare con benefici ambientali in termini di riduzione di gas climalteranti per un risparmio complessivo annuo di 102.420 tonnellate di Co2, equivalente all’assorbimento di un bosco di oltre 40 ettari.
Continua su:
Da impianto di riciclo rifiuti Co2 per usi alimentari – Notizie – Ansa.it
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Allevamenti intensivi: emettono ammoniaca, inquinano l’aria e ricevono soldi pubblici
La nostra mappa svela chi sono e dove si trovano i maggiori emettitori di ammoniaca (NH3) beneficiari di fondi PAC
Quanti fondi pubblici nell’ambito della PAC sono destinati ai grandi allevamenti intensivi italiani che emettono più ammoniaca inquinando l’aria? La nostra inchiesta prova a rispondere a questa domanda, svelando chi sono e dove si trovano gli allevamenti intensivi italiani segnalati nel Registro europeo delle emissioni e dei trasferimenti di sostanze inquinanti (E-PRTR) che emettono maggiori quantitativi di ammoniaca (NH3), un inquinante pericoloso, e quanti fondi pubblici ricevono le aziende cui fanno capo.
Proprio il monitoraggio delle sostanze inquinanti emesse dagli allevamenti intensivi è al centro del dibattito europeo sulla revisione della direttiva sulle emissioni industriali: dal prossimo voto del parlamento europeo dipenderà l’efficacia nel limitare l’inquinamento prodotto da queste attività.
Chiedi al Governo Italiano di bloccare la costruzione di nuovi allevamenti intensivi e di frenare le conseguenze disastrose di quelli esistenti!
L’ammoniaca è un problema per la salute

L’ammoniaca è una sostanza rilasciata principalmente dalle attività agricole che concorre in maniera importante a formare lo smog che respiriamo: una volta liberata in atmosfera questo gas si combina con alcune componenti (ossidi di azoto e di zolfo) generando le pericolose polveri fini. Dati alla mano, in Italia gli allevamenti sono la seconda causa di formazione del particolato fine (responsabili di quasi il 17% del PM2,5), più dei trasporti (14%) e del settore industriale (10%), preceduti solo dagli impianti di riscaldamento (37%).
Mappare dove si trovano i maggiori emettitori di ammoniaca è quindi cruciale per sapere quanto è compromesso l’ambiente in cui viviamo, visto che l’elevata presenza di polveri fini comporta pesanti ricadute per la salute, come abbiamo mostrato in un precedente studio condotto con ISPRA.
La mappa degli stabilimenti che emettono più ammoniaca
Per costruire la nostra mappa, siamo partiti dal Registro europeo delle emissioni e dei trasferimenti di sostanze inquinanti (E-PRTR), che include anche gli allevamenti che dichiarano emissioni per più di 10 tonnellate di ammoniaca (NH3) l’anno . Dalla nostra inchiesta risulta che sono 894 gli allevamenti italiani che nel 2020 hanno comunicato le loro emissioni di ammoniaca al Registro europeo, corrispondenti a 722 aziende, alcune delle quali fanno capo a gruppi finanziari come il colosso assicurativo Generali, a nomi noti del food come Veronesi SpA, holding che comprende i marchi Aia e Negroni, o a grandi aziende della zootecnia come il gruppo Cascone.
La nostra mappa mostra come le regioni della Pianura Padana siano quelle maggiormente a rischio. Qui, infatti, ha sede il 90% degli allevamenti italiani che nel 2020 hanno emesso più ammoniaca. Capofila è la Lombardia, dove si trova oltre la metà degli stabilimenti che emettono grandi quantità di ammoniaca, seguita da Emilia Romagna e Veneto.
9 aziende su 10 hanno ricevuto fondi pubblici
Incrociando i dati del Registro europeo forniti da ISPRA con gli elenchi dei beneficiari dei fondi della Politica Agricola Comune (PAC), abbiamo scoperto che quasi 9 aziende su 10, tra quelle che possiedono allevamenti segnalati nel Registro hanno ricevuto finanziamenti pubblici: un totale di 32 milioni di euro nel 2020, per una media di 50.000 euro ad azienda.
Ma quello che siamo riusciti a svelare è solo la punta dell’iceberg! Infatti, la normativa attualmente in vigore consente di monitorare, attraverso il registro E-PRTR, solo le emissioni degli stabilimenti più grandi, in grado di ospitare oltre quarantamila polli, duemila maiali o 750 scrofe, escludendo completamente gli allevamenti di bovini, nonostante siano a loro volta responsabili di rilevanti emissioni di ammoniaca e metano. Rimangono fuori anche tutte quelle aziende che, pur essendo sotto la soglia minima che obbliga alla comunicazione dei dati, concorrono alle emissioni totali del settore.
Tanto che nel 2020 il 92% delle emissioni di ammoniaca prodotte dagli allevamenti non ha trovato “responsabili” nell’E-PRTR, perché non monitorato. Questa dannosa lacuna segnala l’urgenza di monitorare e regolamentare un maggior numero di allevamenti, come previsto dalla proposta della Commissione UE di modifica della direttiva europea sulle emissioni industriali. Una proposta che sarà votata a breve dall’Europarlamento, fortemente osteggiata da alcune forze politiche e organizzazioni di categoria che, per proteggere gli interessi di una manciata di maxi-allevamenti, stanno mettendo indirettamente a rischio la salute di milioni di persone impattate da queste attività.
Chiedi al Governo Italiano di bloccare la costruzione di nuovi allevamenti intensivi e di frenare le conseguenze disastrose di quelli esistenti!
Come protegge la salute e l’ambiente
Le polveri fini (PM2,5) sono responsabili di decine di migliaia di morti premature ogni anno: l’Agenzia Europea per l’Ambiente ha stimato quasi 50.000 vittime in Italia nel solo 2019. Com’è possibile ridurre drasticamente la diffusione di queste sostanze, se, parallelamente, si continuano a finanziare i modelli zootecnici intensivi e inquinanti che le producono?
Sembra che in Italia si faccia finta di ignorare che gli allevamenti intensivi sono già da anni considerati “attività insalubri di prima classe“, e che pertanto servono misure per proteggere la salute delle persone e l’ambiente dalle loro pericolose emissioni. Per farlo in modo efficace, occorre pianificare una riduzione del numero degli animali allevati, come sta già accadendo in altri Paesi europei. Rimandare questi provvedimenti, significherebbe ignorare gli impatti su salute e ambiente legati all’inquinamento prodotto dagli allevamenti intensivi.
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Ferma gli Allevamenti Intensivi
Quello che mangiamo oggi determina il mondo di domani: non mettiamo il Pianeta nel piatto!Partecipa
#Agricoltura #Cibo #Inquinamento #Salute
Perché gli allevamenti intensivi
sono i più inquinanti e i più finanziati
dall’Europa “green”? E la Pianura
Padana diventa una “camera a gas”…
20 febbraio 2024

Sta facendo discutere che insieme a Delhi (India), Dhaka (Bangladesh) e Lahore (Pakistan), Milano sia ai primi posti per la pessima qualità dell’aria della classifica aggiornata in tempo reale dal sito svizzero IQAir. Ma non è solo il capoluogo lombardo a essere messo male, perché la Pianura Padana ormai da food valley si sta trasformando in una camera a cas e non solo a causa del traffico o delle industrie, quanto per le emissioni degli allevamenti intensivi. Sono i più inquinanti e quelli che ricevono più fondi dall’Europa e non ne parla nessuno. Ecco perché
Una volta si chiamava Gallia Cisalpina, e divenne territorio italico popoloso di colonie romane, immerse in un paesaggio morbido e bucolico. Da molto tempo oramai, la Pianura Padana si è trasformata in una vera e propria camera a gas. Sapevamo già che era una delle zone più insalubri d’Italia e d’Europa prima che ce lo confermasse il Corriere della Sera, che le auto, le industrie e il riscaldamento sono un fattore inquinante di portata enorme, che la sua conformazione morfologica non agevola il riciclo dell’aria, destino infausto, ma che una delle cause principali dell’inquinamento sia dovuto dall’alta concentrazione di allevamenti intensivi presenti, è un’informazione che spesso viene data a mezza bocca o omessa, per salvaguardare potenti interessi economici di un’industria che continua ad alimentare la credenza che la carne sia necessaria alla sopravvivenza del genere umano, anche se non è vero. Però qui lo griderò forte e chiaro: l’industria zootecnica è una delle industrie più impattanti del mondo a livello ambientale. Per farvi capire il perché, non posso non parlarvi di dati e numeri. I numeri devastanti della zootecnia intensiva, secondo i dati dell’anagrafe nazionale zootecnica, gli allevamenti in Italia sono più di 400.000, la maggior parte situati in Lombardia, Veneto, Piemonte e Emilia-Romagna. Gli allevamenti bovini (1,5 milioni di animali e quindicimila aziende) suini (oltre quattro milioni, circa la metà del totale nazionale), concentrati soprattutto in Lombardia, aggiunti a quelli avicoli, ovini e di conigli hanno reso la Pianura Padana invivibile per l’alta concentrazione di ammoniaca e metano presente in quell’area. Complessivamente, gli allevamenti causano il 79% delle emissioni di gas serra nel settore dell’agricoltura, una ripercussione ambientale che non può che aggravare il già precario equilibrio naturale, derivante dalle emissioni di gas climalteranti prodotte dai combustibili fossili, come il petrolio, il carbone e il gas

Il ruolo degli allevamenti intensivi nell’inquinamento record della Pianura Padana
Greenpeace: «L’ammoniaca prodotta costituisce la seconda causa di formazione di polveri sottili, che in Italia causano ogni anno circa 50.000 morti premature»
[20 Febbraio 2024]



Dopo settimane da record per l’inquinamento atmosferico in Pianura Padana, solo a partire da oggi – quando peraltro iniziano ad essere attese condizioni meteo più favorevoli – la Regione Lombardia ha avviato le attese misure antismog, seguendo quanto già messo in campo da Emilia-Romagna, Veneto e Piemonte.
«Siamo al paradosso di dover attendere che si concluda un’emergenza conclamata, oltre che chiaramente prevedibile, in Lombardia così come nel resto del bacino padano, per attivare quelle procedure emergenziali che dovrebbero servire a prevenirla», dichiarano nel merito gli ambientalisti di Legambiente Lombardia.
Eppure le premesse per un’azione più tempestiva c’erano tutte: lo stesso circolo regionale del Cigno verde segnala che a Milano, due giorni fa, la centralina Arpa di via Senato segnava livelli di Pm2.5 pari a 118 microgrammi/mc come media giornaliera – un valore 24 volte più alto dei livelli raccomandati dall’Oms su base annuale – e 136 di Pm10, toccando «il picco di una crisi di inquinamento i cui livelli non sono mai stati eguagliati dal gennaio 2017».
L’assessore regionale all’Ambiente, Giorgio Maione, preferisce guardare il bicchiere mezzo pieno, osservando che negli ultimi vent’anni si è registrata in Lombardia «una riduzione del 39% delle concentrazioni di Pm10 e del 45% delle concentrazioni di NO2», ma la cronaca rende evidente che picchi emergenziali continuano a capitare.
Soprattutto, nonostante un trend in miglioramento – che riguarda la qualità dell’aria in tutta Italia –, il nostro Paese resta il peggiore d’Europa per morti premature da inquinamento atmosferico, dato che l’Agenzia europea dell’ambiente documenta ben 46.800 decessi all’anno da PM2.5, altri 11.300 da NO2 e 5,100 da O3.
Gli ambientalisti si chiedono dunque perché fino ad oggi non sia stata prevista nessuna limitazione «nemmeno per l’attività che maggiormente contribuisce all’aumento del particolato sottile, ovvero lo spandimento di liquami zootecnici», in tutti i campi lombardi.
«La totale inadeguatezza delle risposte agli episodi di inquinamento di questo inizio 2024 hanno azzerato la residua fiducia verso amministrazioni evidentemente irresponsabili riguardo agli effetti sanitari dell’inquinamento – dichiara Barbara Meggetto, presidente di Legambiente Lombardia – Alla luce dei fatti, le istituzioni pubbliche della Lombardia risultano evidentemente, e colpevolmente, sprovviste di strumenti per la prevenzione e gestione delle emergenze sanitarie. L’immobilismo delle istituzioni non è compatibile con i diritti fondamentali di tutela della salute dei cittadini».
I dati Arpa Lombardia messi in fila da Greenpeace per Milano parlano chiaro: se i valori di ozono, biossidi di azoto e zolfo sono rimasti entro i valori limite, nelle ultime settimane le polveri sottili Pm10 hanno avuto una media giornaliera di 100 microgrammi al metro cubo di aria, un dato decisamente preoccupante dato che il valore limite è di 50. I giorni in cui tale limite è stato superato è salito a 16 giorni sui 47 trascorsi dall’inizio dell’anno fino a sabato scorso.
Altro dato allarmante riguarda invece le Pm2.5 – le polveri sottili più pericolose – che sono risultate pari a 76 microgrammi al metro cubo, superiore al valore giornaliero di 5 microgrammi al metro cubo e di 15 su un periodo di 3-4 giorni, indicato dall’Oms.
Valori simili a quelli di Milano sono stati registrati nelle zone di pianura dai servizi ambientali di Piemonte, Veneto ed Emilia-Romagna.
A incidere in modo determinante sull’inquinamento atmosferico in Pianura Padana sono le condizioni geografiche locali, che la rendono un bacino racchiuso tra Alpi e Appennini dove – soprattutto in caso d’inversione termica – gli inquinanti restano schiacciati al suolo. Al contempo, ovviamente questi inquinanti non arrivano dal nulla.
«Gli allevamenti intensivi, insieme al riscaldamento, sono tra i principali responsabili dell’aumento dei livelli di inquinamento da Pm2,5 – affermano nel merito da Greenpeace – A tal proposito è emblematico il nostro studio realizzato in collaborazione con Ispra, che indaga i settori che hanno maggiormente contribuito all’inquinamento da Pm in Italia. Nel 2018 i settori più inquinanti sono risultati essere il riscaldamento residenziale e commerciale (36,9%) e gli allevamenti (16,6%): dati alla mano, insieme questi due settori sono la causa di quasi il 54% del Pm2,5 nazionale. Seguono i trasporti stradali (con il 14%) e le emissioni dell’industria (10%)».
In particolare l’ammoniaca prodotta dagli allevamenti intensivi «costituisce la seconda causa di formazione di polveri sottili – Pm2.5 – che in Italia causano ogni anno circa 50.000 morti premature».
Un problema che non riguarda certo soltanto Milano. Nel merito Legambiente ricorda che nel 2023, secondo l’ultimo report di Mal’aria di città, 18 città su 98 hanno superato i limiti giornalieri di Pm10. Ben 16 delle 18 città si trovano nel bacino padano e 6 sono lombarde(Mantova 62, Milano 49, Cremona 46, Lodi 43, Brescia e Monza 40.
«Da anni con il report Mal’aria di città denunciamo l’emergenza cronica dell’inquinamento atmosferico che soffoca la nostra penisola e che trova, soprattutto in Pianura Padana, la sua area più vulnerabile. Qui a pesare è anche l’effetto degli allevamenti intensivi e dell’agricoltura – conclude il dg di Legambiente nazionale, Giorgio Zampetti – Si introduca una vera e propria rivoluzione urbana con misure strutturali e integrate che abbiano al centro una mobilità sempre più sostenibile, il trasporto pubblico locale che deve essere maggiormente incentivato, e prevedendo al tempo stesso azioni concrete per contrastare anche le altre fonti inquinanti come riscaldamento e agricoltura. Non si perda altro tempo».
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*LA CRISI DEL MODELLO NEOLIBERISTA, TRA DISASTRI AMBIENTALI E CRITICITÀ ECONOMICO-SOCIALI: IL CASO DELL’EMILIA-ROMAGNA*

Abbiamo deciso di promuovere questo convegno, un importante momento di riflessione collettiva, perché ci appare fondamentale produrre e consolidare un pensiero lungo e strutturato sulle dinamiche economiche, sociali e ambientali che riguardano, in primo luogo, la nostra regione. Non è più credibile continuare, come fa il presidente della Regione, a magnificare la bontà del “modello emiliano-romagnolo”, da prendere a riferimento anche per gli altri territori. Né è sufficiente – se mai lo è stato – evidenziare come questo modello produca impatti pesanti dal punto di vista ecologico e ambientale e sulla stessa salute delle persone. La stessa connessione tra giustizia climatica e giustizia sociale rischia di diventare un approccio semplicistico e, alla fine, privo di una capacità effettiva di leggere (e contrastare) i processi in atto anche in Emilia-Romagna.
Pensiamo, invece, sia fondamentale mettere in chiaro come tutte le scelte di politica economica, sociale e ambientale siano strettamente connesse. Come esse si inquadrano dentro il pensiero unico e la pratica del neoliberismo, rispetto al quale il “modello emiliano-romagnolo” può prestare maggiore attenzione ad alcuni tratti di solidarietà ed inclusione sociale, ma che, tuttavia rimane inscritto in quel paradigma e ne è tutt’al più una variante. Neoliberismo che, peraltro, oggi attraversa una crisi strutturale, che non implica certamente un suo possibile ripensamento in termini positivi, ma che, senz’altro, fa sempre più fatica a riproporre la sua logica di crescita “infinita”, fondata su produttivismo ed estrattivismo, il primato del mercato e della finanza, la subordinazione ad essi delle questioni ambientali e della conversione ecologica, la privatizzazione dei beni comuni.
Questa riflessione di fondo, che vogliamo approfondire nello svolgimento del convegno, anche con apposite sessioni di lavoro, può diventare anche la leva e il terreno comune su cui costruire convergenze importanti, al di là di occasioni specifiche che rischiano di risultare fragili, per tutti i movimenti e le realtà sociali che sono convinte che occorre progettare un nuovo a alternativo modello produttivo, sociale e ambientale, anche nella nostra regione. E che non c’è molto tempo per farlo.
Rete Emergenza Climatica e Ambientale Emilia Romagna
*>>> LINK PROGRAMMA E INFO:
https://www.recaemiliaromagna.it/event-item/convegno17e18febbraio/
17 febbraio ore 9:30-13
Prima sessione
Produttivismo, estrattivismo, finanziarizzazione dell’economia. Un modello di sviluppo che non funziona più nel mondo e in Emilia-Romagna
Modera: Viviana Manganaro, RECA, attivista ambientalista
Alfonso Gianni, direttore della rivista trimestrale Alternative per il Socialismo
Capitale globale e dimensioni regionali
Marco Bersani, Attac Italia
Finanziarizzazione dell’economia e del modello emiliano-romagnolo
Massimo Serafini, ambientalista
Uno sguardo ecologista sulla crisi del modello emiliano-romagnolo
Pier Giorgio Ardeni, professore economia politica dello sviluppo, Università Bologna
Più sviluppo, più consumo. Perché siamo alla fine della corsa (anche in Emilia-Romagna)
Marina Mannucci, attivista diritti umani e ambientali
Crisi climatica, donne, intersezionalità. Storie r-esistenti
Wu Ming 2
Il pugno d’asfalto nel guanto verde. Retorica e devastazione in Emilia-Romagna
17 febbraio ore 15-18:30
Seconda sessione
Clima, Ambiente naturale, Ambiente urbano, Aree interne. Dal disastro annunciato al cambio di paradigma
Modera: Gabriele Bollini, RECA
Federico Grazzini, climatologo, ARPAE Emilia-Romagna
Il cambiamento climatico in Emilia-Romagna
Anna Gerometta, Cittadini per l’Aria
Qualità dell’aria ed effetti sulla salute
Luca Gullì e Margherita Romanelli, Diritti alla Città
Rigenerazione urbana: le soluzioni presenti generano i problemi futuri
Piero Cavalcoli e Gioacchino Piras, Osservatorio Urbano di Bologna
Consumo di suolo in Emilia-Romagna, con un occhio ai temi dell’energia e del clima
Bruna Gumiero, biologa, professoressa Alma Mater Bologna
I fiumi nella riprogettazione delle politiche ambientali
Giulio Conte, biologo, Ambiente Italia, IRIDRA
Il ciclo dell’acqua il governo del territorio
Giovanni Poletti, agronomo
Albero motore, di città (auto) Albero, motore di città (verde)
18 febbraio ore 9:30-13
Terza sessione
Beni comuni: Mobilità-infrastrutture, Energia, Acqua, Rifiuti, Economia contadina, Pace e democrazia. Verso un altro mondo possibile e necessario
Modera: Pierpaolo Lanzarini, RECA, Campi Aperti
Linda Maggiori RECA, attivista e giornalista freelance
Autostrade o ferrovie? Le politiche della mobilità (in)sostenibile in Emilia-Romagna
Leonardo Setti RECA, docente Università Bologna
Per una vera e democratica conversione energetica, basata sulle energie rinnovabili
Corrado Oddi RECA, Forum Italiano Movimenti per l’Acqua
Privatizzazione dei beni comuni ed espropriazione decisionale dei cittadini. Il caso dell’Acqua
Natale Belosi, RECA, Rete Rifiuti Zero
Uso insostenibile delle risorse e politiche dei rifiuti
Antonio Onorati, Associazione Rurale Italiana
Economia contadina, la transizione possibile
Sergio Bassoli, Rete Pace e Disarmo
Pace e democrazia, fondamenta di un nuovo modello produttivo, sociale e ambientale
INFO LOGISTICHE:
ARRIVARE:
La sala di quartiere del Comune di Bologna
è accessibile sia da via Ludovico Berti che da via dello Scalo
https://maps.app.goo.gl/Bt7hHH4i24FUznzC7
Dalla stazione:
autobus 33 (10 minuti) o 35 (14 minuti)
a piedi lungo i viali occidentali (21 minuti)
in auto:
parcheggio nelle vie circostanti il complesso edilizio dove ha sede la sala
A pagamento. App per la gestione della sosta: mooneygo (ex mycicero)
PRANZO:
BIO, kmzero, vegan-friendly organizzato da Campi Aperti
prezzo popolare
info e prenotazioni entro il 10 febbraio: convegno17e18febbraio@gmail.com
ACCESSIBILITÀ:
Piano terra, no barriere architettoniche
Animali benvenuti
salute/#:~:text=Vediamo%20quanto%20inquiniamo%3A%20foto%20di%20un%20pianeta%20da%20salvare
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Impianto di Zerbinate, è battaglia legale
Bondeno, l’azienda Biopig Italia si appella al Tar per annullare la delibera del consiglio comunale che vieta l’ampliamento
Impianto di Zerbinate, è battaglia legale
BONDENO
La battaglia tra amministrazione comunale e la società agricola Biopig Italia si sposta davanti sul binario della controversia legale. L’azienda infatti ha scelto di ricorrere al Tar dell’Emilia-Romagna per chiedere l’annullamento di svariati documenti, fra cui la delibera del consiglio comunale di Bondeno dello scorso 26 ottobre con la quale l’assemblea aveva respinto la variante urbanistica per l’ampliamento di un impianto zootecnico esistente sito a Zerbinate. Si trattava dell’iter per la notevole espansione dell’allevamento di suini di Zerbinate: durante la seduta del 26 ottobre 2023, il Consiglio aveva rigettato l’approvazione della deliberazione con i voti contrari dei gruppi Partito Democratico e Bondeno in Testa, il voto favorevole della lista civica Davide Verri Sindaco, e l’astensione degli altri gruppi che compongono la maggioranza.
https://www.ilrestodelcarlino.it/ferrara/cronaca/impianto-di-zerbinate-e-battaglia-legale-51e74700
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Dai fanghi di depurazione al digestato nel biogas: risorsa o problema per salute?

Sito Web: Digestato nel biogas: risorsa o problema per salute? (terredifrontiera.info)
AUTORE:
Quanto è realistico pensare al digestato come ad una sostanza utilizzata in piena sicurezza? Ha senso evidenziare la sua natura di concime o quella di sostanza spesso utilizzata senza avere una piena certezza sul livello di inquinamento nei terreni dove viene distribuita? Ecco cosa sta accadendo, anche dal punto di vista normativo, nel nostro Paese.
La non condivisibile decisione del primo governo Conte di prevedere all’articolo 41 del “decreto Genova” (legge n.109 del 28 settembre 2018) spropositati limiti di concentrazione degli idrocarburi pesanti (C10-C40) nei fanghi di depurazione, sia civili sia industriali – consentendone lo spandimento su suoli agricoli – ha aperto più di un interrogativo sul loro utilizzo in agricoltura.
Il limite di 1000 milligrammi/chilogrammo, come già spiegato da Terre di frontiera, è “astutamente” riferito al “tal quale” e non alla “sostanza secca”: significa che si potrebbe riscontrare il limite di 1000 milligrammi/chilogrammo in fanghi contenenti una notevole percentuale di acqua anche se gli stessi, resi secchi – quindi privi di acqua – farebbero registrare una concentrazione decisamente maggiore.
Una previsione normativa che sembra celare un favore legislativo, andando in direzione opposta a quella della maggiore tutela ambientale, rendendo verosimilmente i fanghi più assimilabili a sostanze ricche di “veleni” che a vantaggiosi concimi ricchi di sostanza organica.
Il business dei fanghi dovrebbe far riflettere se si pensa al recentissimo sequestro di 96 tonnellate di fanghi di depurazione da parte del Nucleo operativo ecologico dei Carabinieri in un impianto del Metapontino, in Basilicata, con l’intento, forse, di far diventare la regione una “suggestiva pattumiera” per l’intera Italia.
Ancor più inquietante è il nuovo scandalo sui fanghi di depurazione mescolati con il compost: una vera “bomba ecologica” chiamata ammendante compostato misto, ovvero materiale ricavato dalla lavorazione della frazione umida degli scarti urbani, degli avanzi dell’industria agroalimentare e dei fanghi di depurazione. In genere viene venduto alle aziende agricole e utilizzato come fertilizzante per i propri campi. A confermare la loro pericolosità è un passaggio di alcune intercettazioni raccolte dagli inquirenti, nelle quali si legge che «Qua come c’è un po’ di caldo ci facciamo male»: trattasi, infatti, di sostanze nauseabonde che creano inevitabilmente percolato nei capannoni dove vengono temporaneamente costipate, continuando a “fumare” anche quando vengono trasportate e distribuite sui terreni agricoli o interrate nei campi previo accordo con i proprietari terrieri. Pazienza se si creano «danni irrimediabili e devastanti per l’ambiente e la salute pubblica».
Si legge, inoltre, che il problema non interessava ai titolari del gruppo societario, tanto da cedere a diverse aziende dell’agro-pontino il loro compost “farlocco”, certificato da analisi chimiche falsate, nel quale ai rifiuti organici venivano mischiati scarti di ogni tipo: vetro, plastica, materiali vari e rifiuti speciali a rischio infettivo. Dall’inchiesta si evince che i proprietari dei terreni venivano pagati affinché lo prendessero, così da risparmiare sullo smaltimento. Successivamente erano gli stessi proprietari dei campi che lo seppellivano per poi farci crescere “olivi e granturco”.
L’USO DEL DIGESTATO IN AGRICOLTURA
Una problematica per certi aspetti simile alla questione fanghi di depurazione riguarda il digestato e il suo impiego in agricoltura che, anche in questo caso, viene enfatizzato come concime, quindi come sostanza che rappresenterebbe un valore aggiunto per il settore agricolo. Ma è realmente così?
Il digestato è il prodotto della fermentazione di biomasse convogliate in opportune strutture chiamate digestori (o fermentatori) afferenti ad una specifica impiantistica incentivata da leggi statali. Trattasi di impianti alimentati da biomasse per la produzione di biogas, a sua volta utilizzato per la produzione di energia elettrica (tramite sistema di cogenerazione) e/o energia termica, oppure per la produzione di biometano previa opportuna depurazione che prevede anche la desolforazione.
Ebbene sì, occorre ripulire il biogas anche dall’idrogeno solforato quale gas incolore, ma dalla puzza inconfondibile (uova marce) che può arrecare danni anche a ridottissime concentrazioni e percepibile, con conseguenti molestie olfattive, già a bassissimi valori pari a 0.02 parti per milione. Tanto ci sarebbe da dire sull’idrogeno solforato (acido solfidrico) e sui problemi di corrosione degli impianti ad esso strettamente correlati con conseguenti incidenti già dopo pochi anni di funzionamento. La questione dei rischi e degli scenari incidentali, connessi agli impianti per la produzione di biogas, rende necessario un approfondimento al fine di far comprendere che la parola “bio” è solo un aspetto del processo industriale al quale andrebbe affiancato il rovescio della medaglia rappresentato dal possibile ed altamente probabile inquinamento delle matrici ambientali. Questione, quest’ultima, che potrebbe essere bilanciata solo tramite una impiantistica di ridotte dimensioni (impianto avente una potenza elettrica di circa 100 kilowatt, ndr).
BIOGAS E BIOMASSE
Le biomasse utilizzate per il funzionamento degli impianti di biogas possono essere agricole, zootecniche, industriali, agrozootecniche e agroindustriali, fino ad arrivare all’impiego dei rifiuti urbani ed in particolare al famigerato Forsu (Frazione organica di rifiuti solidi urbani).
Quali sono, quindi, le problematiche connesse al digestato? Si rende necessario innalzare il livello di sicurezza sul suo utilizzo in agricoltura?
Non poche sono le segnalazioni circa l’utilizzo del digestato su terreni agricoli favorendo lo sviluppo di microrganismi dannosi per le produzioni alimentari, con ripercussioni per la salute umana. È indiscutibile che nei digestori, durante la fermentazione con conseguente produzione di biogas, si selezionano comunità microbiche in seguito a fenomeni di competizione e resistenza, soprattutto se il funzionamento avviene in regime di termofilia (> 55 gradi), assicurando pertanto temperature maggiori rispetto al regime di mesofilia (35-37 gradi).
Desta preoccupazione la specie batterica appartenente al genere Clostridium che potrebbe costituire un evidente pericolo per la salute pubblica in quanto associato a casi di botulismo per la sua capacità di generare tossine botuliniche.
In uno studio condotto dall’Istituto superiore di sanità [B. Auricchio, F. Anniballi, A. Fiore et al., Il biogas: spunti per una serena riflessione, Nota ISS, 2014; 27[5]:3-6], si perviene alle seguenti conclusioni: «La produzione di biogas costituisce un’importante risorsa economica per le aziende agricole, che devono però garantire la sicurezza d’uso dei digestati. Desta una significativa preoccupazione la capacità di alcune specie microbiche, in particolare Clostridium botulinum, di sopravvivere in condizioni di anaerobiosi e alle temperature utilizzate nel processo di digestione. Tuttavia, al momento in Italia non è stata dimostrata in laboratorio alcuna correlazione tra i focolai di botulismo e lo spandimento di digestato sui suoli agricoli. Per una completa valutazione del rischio si ritiene necessario e auspicabile affrontare dal punto di vista scientifico alcuni aspetti del processo di produzione del biogas, che contribuirebbero ad aumentarne la sicurezza. In particolare, sarebbe necessario avviare approfondite ricerche volte a: valutare qualitativamente e quantitativamente la composizione delle comunità microbiche che si selezionano nell’impianto in funzione della tipologia del substrato utilizzato; approfondire i rapporti ecologici che si instaurano tra i componenti le diverse comunità microbiche, che popolano i diversi siti presenti nel processo produttivo del biogas, nonché l’eventuale competizione operata da alcune specie nei confronti dei clostridi produttori di tossine botuliniche; valutare l’impatto dei digestati utilizzati come fertilizzanti agricoli sulla flora microbica autoctona del terreno e i loro risvolti sulla fertilità del suolo».
La Danimarca, la Svezia, l’Austria, la Germania e la Gran Bretagna si sono dotate di uno specifico regolamento che obbligano i gestori degli impianti a biogas (estendibile anche agli impianti per la produzione di compost) a prevedere trattamenti di sanificazione dei substrati di biomasse che alimentano i digestori oltre a prevedere specifiche caratteristiche impiantistiche (come ad esempio i pastorizzatori) con mirati e severi controlli microbiologici sul digestato che si vuole venga utilizzato in agricoltura.
Il dottor Gian Piero Baldi, medico Isde e presidente di Bio Ambiente, ha più volte ricordato i rischi per la salute degli impianti a biogas, nonché come gli aspetti microbiologici rappresentano un punto debole del biogas tanto da sottolineare l’importanza di adottare, in Italia, precauzioni molto più stringenti per il trattamento di sanificazione delle biomasse in entrata e dei digestati in uscita.
Per il dottor Mauro Mocci, medico di famiglia e decano dell’Isde, gli impianti a biogas sono da considerare industrie insalubri in quanto trattano anche rifiuti e l’output del processo è, verosimilmente, un rifiuto. Uno dei punti deboli degli impianti a biogas è la fase anaerobica della frazione organica dei rifiuti nella quale non sono utilizzati solo quelli urbani, come spesso sostengono le imprese.
È del tutto evidente la necessità di seri approfondimenti sull’utilizzo del digestato in agricoltura e – in attesa di dati certi circa il suo utilizzo in piena sicurezza escludendo le negative ricadute sulla nostra salute – sarebbe necessario invocare il Principio di precauzione (articoli 3-ter e 301 del Codice dell’Ambiente, in recepimento dell’articolo 191, parte 2 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea).
Un principio che non si basa sulla disponibilità di dati che provino la presenza di un rischio, ma sull’assenza di dati che assicurino il contrario. Un principio di buonsenso cristallizzato in una specifica norma da cui deriva l’esigenza di un’azione ambientale consapevole e capace di svolgere un ruolo teso alla salvaguardia dell’ecosistema in funzione preventiva anche quando non sussistono evidenze scientifiche conclamate che illustrino la certa riconducibilità di un effetto devastante per l’ambiente ad una determinata causa umana [cfr. Tar di Lecce, Sez. I – 14 luglio 2011, n.1341].
Tuttavia, qualora un’amministrazione pubblica volesse invocare il Principio di Precauzione, occorre che lo faccia non con un banale e semplicistico annuncio o con una riduttiva ed inefficace invocazione bensì con uno specifico atto motivato e circoscritto al coso caso di specie.
Infatti, l’applicazione del Principio di Precauzione richiede una valutazione quanto più possibile completa dei rischi, che tenga conto dei dati scientifici più recenti e che faccia emergere il pericolo di un pregiudizio significativo per l’ambiente e per la salute dell’uomo. A fronte di una valutazione rigorosa del rischio si potranno adottare le misure strettamente necessarie per evitare un siffatto pregiudizio.
Non è dunque accettabile un approccio meramente ipotetico del rischio, che induca a limitare o vietare determinate attività sulla base di semplici supposizioni [cfr. Urbanistica e Appalti, n.5 maggio 2014, p.551 – Consiglio di Stato, Sezione V, 27 dicembre 2013, n.6250].
Persino sull’inquinamento ‘da puzza’ lo Stato fa le cose a metà per non scontentare nessuno
Tra i tanti inquinamenti che ci affliggono, ce n’è uno di cui poco si parla; ma basta guardare le denunzie che arrivano in Procura per capire che è molto più frequente di quanto si pensi.
Si tratta dell’inquinamento da puzza o, per meglio dirlo con il legislatore, da “emissioni odorigene”, che fino a poco tempo fa non veniva neppure preso in considerazione dalle nostre leggi di tutela ambientale. Tanto è vero che nei casi più insopportabili si ricorreva ad un generico articolo (il 674) del codice penale che punisce come contravvenzione chiunque “provoca emissioni di gas, di vapori o di fumo, atti a molestare le persone”; e che, pur se non parla di odori, era stato ritenuto applicabile dalla Cassazione, in casi dove, ad esempio, c’è gente che deve vivere con le finestre sempre chiuse per attutire esalazioni moleste provenienti da manifatture come torrefazioni di caffè o da terreni agricoli abbondantemente ricoperti di concimi e immondi fanghi da depurazione. Per non parlare delle esalazioni da rifiuti giacenti in discariche o per strada.
I principali responsabili dell’inquinamento olfattivo sono sostanze che derivano da decomposizione, escrezioni animali e processi industriali, quali l’ammoniaca, l’acido solfidrico (che odora di uova marce), lo scatolo e l’indolo (odori tipici delle feci) e il dimetil solfuro (che deriva da vegetali decomposti).
Molestie olfattive, l’aria che “puzza” rovina salute e ambiente
CHIAMA i CARABINIERI
CHE PUZZA! (carabinieri.it)
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V
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La dura protesta sul biometano. Centrale, la rete dei cittadini:: “La nostra battaglia va avanti”
Residenti e associazioni in assemblea per ribadire il no alla costruzione della struttura “Disagi e impatto ambientale devastanti”. E a protestare c’è anche l’undicenne Ettore.
La dura protesta sul biometano. Centrale, la rete dei cittadini:: “La nostra battaglia va avanti”
“La battaglia contro la costruzione della centrale biometano va avanti”. Si tratta del messaggio emerso al termine dell’incontro pubblico sulla centrale che dovrebbe sorgere a Villanova, tenutasi nella sala del campo sportivo della frazione ferrarese completamente sold out. Un momento di confronto dove si è discusso sul tema ‘centrali biogas-biometano nel nostro territorio’, promosso dal gruppo cittadini ‘No biometaNo’ di Villanova. Un incontro che ha visto la presenza anche di altri comitati: ‘Aria nuova’ di Bondeno, l’associazione ‘Vivere meglio Formignana’ e comitato di Masi Torello, con relazione finale di Gian Gaetano Pinnavaia, della Rete giustizia climatica.
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Biogas nel Ferrarese. Comitati e gruppi avviano un ragionamento trasversale
Biogas nel Ferrarese. Comitati e gruppi avviano un ragionamento trasversale | estense.com Ferrara