A Gonzaga il record di bovini nel Mantovano: stop a nuovi allevamenti
30 Novembre 2024
GONZAGA – Secondo gli ultimi dati forniti dal servizio veterinario di Ats Valpadana, con 36.736 bovini presenti nel suo territorio, 737,67 per Kmq, Gonzaga è il comune con il maggior numero di bovini in provincia di Mantova e si posiziona ai vertici delle classifiche regionale e nazionale.
La somma di bovini e suini allevati nel gonzaghese dà una consistenza di 59.690 capi, 1198,6 per Kmq. La relazione Ersaf sul carico di azoto zootecnico nell’anno 2023 colloca Gonzaga al terzo posto tra i comuni della provincia di Mantova: 296 Kg per ettaro su base annua, contro un limite di 170 stabilito dalla direttiva europea per le zone vulnerabili.
Ai dati statistici si affiancano quelli scientifici di ISPRA, che attestano come gli allevamenti siano responsabili del 15% di polveri sottili e del 94% di emissioni di ammoniaca.
LA DECISIONE DEL CONSIGLIO COMUNALE
Poggia su questi presupposti la delibera votata dal Consiglio comunale che, in attesa della prossima adozione della variante al Piano di Governo del Territorio PGT), sospende le autorizzazioni per nuovi allevamenti, limita gli ampliamenti degli allevamenti esistenti alle sole richieste finalizzate al raggiungimento del benessere animale, consente la variazione del tipo di animale allevato esclusivamente se attuata senza incremento delle unità di bestiame adulto (UBA).
L’atto è stato adottato alla luce di nuove dinamiche di mercato che stanno concentrando sul territorio gonzaghese l’interesse di grandi gruppi industriali del settore agroalimentare, italiani e stranieri. La decisione del consiglio è stata illustrata questa mattina in una conferenza stampa dal sindaco Galeotti.
“Come già preannunciato alle associazioni di categoria” spiega Elisabetta Galeotti, sindaco di Gonzaga “andremo a costituire una Consulta Agricola per creare un dialogo e un confronto costante sul tema, per monitorare gli effetti della delibera e valutare nuove norme da introdurre nel PGT, al fine di tutelare la salute dell’ambiente e dell’uomo ma anche garantire le attività primarie, in particolare quelle della filiera del Parmigiano Reggiano.”
Nelle premesse, la delibera gonzaghese richiama una delibera approvata all’unanimità nel dicembre 2022 dal Consiglio Regionale, che impegnava la Giunta Regionale a prevedere una moratoria alle nuove autorizzazioni per nuovi impianti e ampliamenti di allevamenti intensivi, in attesa di una programmazione guidata da studi epidemiologici e valutazione di impatti cumulativi.
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Inquinamento da nitrati: ogni anno in Lombardia 165 Comuni fuorilegge per carichi di azoto
Dopo anni di richiami, l’Italia rischia di dover affrontare la Corte di Giustizia dell’Unione Europea e multe salate per non aver protetto cittadini ed ecosistemi dall’azoto prodotto dagli allevamenti intensivi. A quattro anni dall’indagine Fondi pubblici in pasto ai maiali, l’Unità Investigativa di Greenpeace torna ad analizzare i dati nazionali e locali, e con un focus sulla Lombardia denuncia come gli allevamenti intensivi di suini, bovini e pollame stiano continuando ad avvelenare suolo e acqua.
Leggi il report integrale per conoscere tutti i dati sull’inquinamento da nitrati in Italia.
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Montopoli, il primo bosco biosostenibile. Mancuso: “Un esempio per tutto il Paese”
Clicca sul video-link (sotto): Stefano Mancuso
https://firenze.repubblica.it/cronaca/2024/11/21/video/montopoli_
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Accogliere studenti e visitatori per attività didattiche e divulgative, è la funzione del bosco biosostenibile di Montopoli in Val d’Arno e adesso anche della nuova sala polifunzionale realizzata in legno e vetro e alimentata da pannelli fotovoltaici, inaugurata nella Giornata nazionale degli alberi. Il progetto è stato realizzato grazie a Unicoop Firenze in collaborazione con Stefano Mancuso, il team Pnat, e Legambiente dopo una bonifica da 2 milioni di euro e un crowdfunding che ha raccolto 225 mila euro per piantare 3mila alberi. “Qui c’era un allevamento intensivo di maiali – ricorda lo scienziato Stefano Mancuso, professore dell’Università di Firenze – oggi è un bosco di 6 ettari, dopo una costosa opera di bonifica, che ospita un’aula didattica in legno, il sogno di ciò che dovrebbe accadere dappertutto in Italia. Gli alberi assorbono anidride carbonica, il terreno deimpermeabilizzato è più idoneo ad accogliere gli eventi estremi. Per ogni euro che investiamo in alberi, abbiamo un assorbimento di CO2 che è mille volte superiore a qualunque tecnologia umana”
Stefano Mancuso: «Piantiamo alberi nelle nostre città per combattere la crisi climatica»
di Silvia Morosi
Giovedì 21 novembre la Giornata mondiale. Il botanico e «Prospettiva Terra»: servono amministrazioni coraggiose. Il modello Barcellona e il progetto avviato a Milano
«Gli alberi sono i nostri alleati nella sfida del cambiamento climatico. Sono la tecnologia più efficace contro il caldo». A ribadirlo con forza è il botanico Stefano Mancuso, docente dell’Università di Firenze, a capo del Laboratorio internazionale di neurobiologia vegetale e direttore scientifico di «Prospettiva Terra».
Le alluvioni che hanno colpito Spagna, Emilia-Romagna e Sicilia sono solo l’ultimo esempio della vulnerabilità del Pianeta?
«Questi eventi, ormai parte della normalità, ci ricordano che – come la scienza ripete da oltre un secolo – il riscaldamento globale è il più grande problema mai avuto dall’umanità. Non si può più sottovalutare. Come scriveva già Lucrezio nel De Rerum Natura, trovandosi di fronte alla montagna più alta che conosce lo stolto pensa sia la più alta al mondo. Dobbiamo comprendere che il clima come lo abbiamo conosciuto è mutato, definitivamente».
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Come possiamo rendere nell’immediato le nostre città più resistenti?
«In un modo molto semplice: le città devono aumentare la vegetazione arborea e mettere a dimora centinaia di milioni di piante, ovunque. È questa l’unica speranza per raffreddarle. Poiché al momento non hanno spazio sufficiente per ospitare le piante, dobbiamo togliere una quantità consistente di asfalto e quindi di strade, che oggi – ridicolo – rappresentano circa il 30% della superficie delle città moderne».
Chi si sta muovendo in questa direzione?
«Penso a Barcellona dove l’ex sindaca Ada Colau nel 2022 decise – non senza polemiche – di chiudere al traffico la vide del Carrer del Consell de Cent, aumentando il verde pubblico. Serve trovare amministrazioni coraggiose».
Come immagina la città del prossimo futuro?
«Deve essere permeabile, coperta di alberi e non solo il luogo degli uomini. Oggi è una specie di monocoltura umana, e come tutte le monocolture non è resistente».
Il primo intervento di «Prospettiva Terra» ha coinvolto la Biblioteca degli Alberi a Milano. In che modo?
«Il progetto ha una doppia valenza, scientifica e didattica. Abbiamo installato 300 sensori IoT – Internet of Things: i dati raccolti mostrano i benefici che le piante producono, attimo dopo attimo, dalla CO2 assorbita alla rimozione di polveri sottili».
Quali vantaggi diretti sulla salute derivano dalla «convivenza» con le piante?
«Gli alberi funzionano come condizionatori d’aria naturali, assorbono calore e traspirano ossigeno, abbassando la temperatura. Nel 2022 in Europa sono morte 64mila persone per il caldo, 16mila in Italia. Piantare alberi è un tema di tutela sanitaria, in particolare dei più fragili: una soluzione bella e poco costosa».
Per la Giornata degli alberi (21 novembre) avete indagato il grado di conoscenza delle piante. Cosa emerge?
«L’indagine, effettuata su mille persone in cinque città italiane, mostra ad esempio come 3 persone su 10 non sanno che gli alberi sono in grado di assorbire la CO2. E, anche che solo una piccola percentuale di giovani è davvero attenta a questi temi. Una minoranza molto rumorosa che ci ricorda l’importanza di investire nell’educazione».
Come nasce l’amore per le piante e lo studio della loro intelligenza?
«Durante il dottorato dovevo studiare come le radici evitino gli ostacoli e notai che li aggiravano ben prima di incontrarli. Le piante non erano, dunque, passive: conoscevano l’ambiente e prevedevano delle soluzioni. La mia fortuna è stata di diventare professore ancora giovane: ho potuto fare ricerche senza combattere per la carriera, ma “solo” per idee spesso considerate follie utopistiche».
Uno studio impopolare?
«Sì… Da un lato siamo ciechi: il nostro cervello filtra le piante e le percepisce come un unicum con il mondo inorganico. Dall’altro non capiamo che la vita del Pianeta è prevalentemente vegetale, e dimentichiamo che le piante rappresentano l’86% di quello che esiste, mentre l’uomo e gli animali solo lo 0,3%».
In quale si riconosce?
«In realtà – sorride -, in due. L’olivo, mediterraneo, sempreverde, resistente alla siccità, e il ginkgo: lo accarezzo ogni volta che lo vedo».
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Dai fertilizzanti con letame o compost, in agricoltura, rischio salmonella e listeria: sotto accusa i fanghi dei depuratori
Lo studio dell’Istituto Zooprofilattico delle Venezie lancia l’allarme su nuovi patogeni «resistenti agli antibiotici di terza generazione ed ai metalli pesanti»
VENEZIA. Alcuni ammendanti agricoli, cioè le sostanze utilizzate per migliorare la fertilità del suolo come letame, torba o compost, possono diventare veicoli di diffusione di microrganismi patogeni altamente resistenti agli antibiotici, tra cui salmonella e listeria. Il dato emerge da uno studio coordinato dal Laboratorio di ecologia microbica e genomica dei microrganismi dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie (Izsve), che ha indagato i rischi nascosti dei derivati da rifiuti biologici e fanghi di depurazione.
Pubblicato sulla rivista scientifica internazionale Journal of Hazardous Materials, lo studio ha la collaborazione del Istituto di Ricerca Sulle Acque (Irsa) del Cnr e il Dipartimento di ingegneria civile, ambientale e architettura dell’Università di Padova. Il team di ricerca ha utilizzato un approccio che combina metodi tradizionali di microbiologia con le più avanzate tecniche di sequenziamento genomico, per analizzare diverse tipologie di ammendanti del suolo.
Sono stati così individuati alcuni patogeni trasportati dagli ammendanti, oltre a geni di resistenza agli antibiotici di terza generazione e di tolleranza ai metalli pesanti. Emerge chiaramente che quando un rifiuto diventa una risorsa agricola, come nel caso degli ammendanti, è fondamentale vigilare non solo sui rischi chimici ma anche su quelli biologici.
Queste sostanze possono infatti diffondere nell’ambiente geni che possono aggravare il fenomeno dell’antibiotico resistenza. Sulla base dei risultati ottenuti è evidente inoltre la necessità di aggiornare i protocolli di monitoraggio e la normativa sulla conformità degli ammendanti, per tutelare la salute pubblica e garantire pratiche agricole veramente sostenibili.
- 10 settembre 2024
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È stato ampiamente documentato come l’impianto che dovrebbe sorgere a Villanova sarà il secondo in regione per dimensioni.
La produzione di biometano prevista sarà di circa 1000 Sm3 per ora. Verranno prodotti annualmente 8.303.000 Nm3 di biometano, immessi nella rete SNAM e 4.483.646 di biogas che serviranno per alimentare il cogeneratore e per altri consumi dell’impianto stesso.
Al fine di ottenere tali risultati di produzione, l’impianto necessita dell’ingresso di 100.000 tonnellate all’anno di biomasse (pollina e reflui zootecnici e sottoprodotti alimentari, ovvero scarti di lavorazione), mentre è previsto che si ottengano, in uscita, 45.000 tonnellate di digestato, scarto della digestione anaerobica.
Il biometano però non è un’energia pulita, e neppure può essere annoverato tra le energie rinnovabili. Le fonti rinnovabili non inquinano e non si esauriscono, basti pensare all’eolico e al solare, mentre, al contrario, il biometano è un gas combustibile, con tutte le controindicazioni ed effetti delle fonti fossili: inquina e produce gas climalteranti.
La produzione di biometano potrebbe esser ascritta quale economia circolare per le aziende agricole deputate al riciclo del loro materiale di scarto e all’utilizzo del biometano nell’ambito dell’azienda stessa.
Giova inoltre precisare come il biometano non sia una fonte di energia particolarmente vantaggiosa, dato il suo mediocre rendimento. Considerando difatti l’energia utilizzata per la produzione, la purificazione, nonché il ruolo del trasporto per l’alimentazione dell’impianto, l’indice di ritorno energetico (EROI), che misura il rapporto tra energia realizzata e consumata, risulta decisamente basso: 1,4. La soglia considerata utile per la sostenibilità economica è pari a 3 (tale indice è 5 per l’eolico e 7 per il fotovoltaico).
Occorre peraltro smentire tutte le valenze positive che il prefisso “Bio” evoca. Nel caso del Bio-metano si tratta fondamentalmente di un inganno semantico che va sfatato per rimuovere ogni illusorio accostamento ai prodotti cosiddetti “biologici”, ossia naturali.
Semplicemente, il Bio-metano viene prodotto attraverso un processo BIOTECNOLOGICO che trasforma materiali organici in biogas attraverso un processo di bioconversione.
Un ulteriore elemento da tenere in adeguata considerazione in merito alla futura centrale di Villanova è legato ai conferimenti delle biomasse per alimentare la centrale. Questi proverranno in molti casi da distanze notevoli, anche oltre 70KM.
A tale proposito è opportuno ricordare che “la pianificazione di un impianto deve valutare attentamente il bacino di approvvigionamento delle biomasse in ingresso, che se reperite a distanza troppo elevata rendono l’attività ambientalmente ed economicamente non sostenibili” (vedi www. Sorgenia.it/guida-energia/biogas).
Il punto però sul quale desideriamo focalizzare l’attenzione è legato alle emissioni che questa centrale genererà, e che avranno importanti ricadute ambientali e sanitarie,avvalorando il loro impatto sfavorevole sulla salute umana con i più recenti studi, riportati in letteratura.
Nelle seguenti tabelle sono elencate le principali emissioni
(Fonte Autorizzazione Unica Ambientale ARPAE per la realizzazione e l’esercizio dell’impianto per la produzione di biometano in via Ponte Assa a Villanova di Denore).
EMISSIONI E1 ( Cogeneratore da 2,883MWt)
Emissioni | Valore limite |
Polveri | 10mg/Nm3 |
COV | 100mgN/m3 |
Ossidi azoto NO2 | 450mg/Nm3 |
Ossidi di zolfo SO2 | 350mg/Nm3 |
Monossido di carbonio CO | 500mg/Nm3 |
Composti inorganici del cloro HCl | 10mg/Nm3 |
L’emissione E2 relativa ad un impianto di purificazione del biogas con utilizzo di membrane per la rimozione dell’anidride carbonica deve essere costituita essenzialmente da CO2, la quale non rientra tra i parametri sottoposti a limiti emissivi.
In sede di messa a regime dell’impianto dovrà essere effettuato almeno un autocontrollo della Emissione E2, mirante alla verifica della presenza di ulteriori inquinanti oltre alla CO2: NH3 (ammoniaca), H2S (acido solfidrico) e COV (composti organici volatili).
EMISSIONI E3 CALDAIA 1MWt
Emissioni | Valore limite |
Polveri | 20mg/Nm3 |
Monossido di carbonio CO | 150mgN/m3 |
Ossidi di azoto NO2 | 200mg/Nm3 |
Ossidi di zolfo SO2 | 100mg/Nm3 |
EMISSIONI BIOFILTRO
Emissioni | Valore limite |
Ammoniaca NH3 | 5mg/Nm3 |
Acido solfidrico H2S | 3,5mg/Nm3 |
COV | 50mg/Nm3 |
Sostanze odorigene | 300 U.O/Nm3 |
Sia i processi di digestione anaerobica (degradazione della sostanza organica da parte di microorganismi in condizione di anaerobiosi) sia la successiva fase di upgrading, producono emissioni.
Una forte incidenza è determinata dalle emissioni di polveri sottili, il particolato PM 2,5 e PM 10. Queste restano in sospensione per un tempo prolungato e percorrono grandi distanze. Si depositano sui terreni e sono assimilate nel corpo degli animali, contaminano il latte, i prodotti agricoli, le falde acquifere danneggiando la catena alimentare.
I Pm 2.5 entrano nel corpo attraverso l’aria, la catena alimentare, si fissano ai globuli rossi che li veicolano ai vari organi, potendo determinare alterazioni del DNA e generare mutazioni, danni e neoplasie. Possono essere responsabili di tumori polmonari, dell’apparato urinario, del fegato, della prostata, del cervello, della tiroide.
Alcuni studi inglesi le hanno individuate anche a livello placentare. A livello placentare esse inducono una diminuzione del fattore neurotrofico cerebrale, BDNF (brain derived neurotropic factor), una proteina che codificata dal gene BDNF, è un membro della famiglia delle neurotrofine. Esplica la sua azione sulla crescita e differenziazione neuronale ed è particolarmente attivo sui neuroni dell’ippocampo, dell’amigdala e della corteccia prefrontale, aree deputate alla memoria, all’apprendimento, e sede del controllo delle emozioni.
Studi pubblicati su Neuro Endocrinology Letter 2017 hanno individuato il PM2,5,il Pm10, NO2 e NOX (studi condotti in USA, Spagna, Italia e Sud Corea) quali potenziali responsabili di alterazioni del neurosviluppo e turbe del comportamento nei bambini.
Sono stati descritti aumenti di Sindrome ADHD (Attention deficit Hyperactivity Disorder), situazione /stato persistente di disattenzione e/o iperattività e impulsività più frequente e grave di quanto tipicamente si osserva in bambini di pari livello di sviluppo (definizione DSM); e diminuzione delle capacità cognitive.
Il decremento di BDNF colpisce anche gli adulti, determinando malattie neurodegenerative, alterazioni della memoria, possibile sviluppo di depressione e riduzione delle capacità cognitive.
A supporto di queste asserzioni lo studio svedese del 2020 di Grande G. et al.., pubblicato su JAMA NEUROL: “Association between Cardiovascular Disease and Long–term Exposure to air pollution with risk of dementia” dimostra non solo la già nota correlazione tra cardiopatia ischemica e inquinamento, ma come l’incremento di PM 2,5, Ossidi di Azoto e Ammoniaca favoriscano l’insorgere di ictus e demenza .
L’OMS ha stabilito per i particolati, soprattutto per il PM2,5, un valore soglia per evitare danni alla salute di 10 microgrammi/M3.
Esiste uno iato tra i valori proposti dall’OMS e i valori limite stabiliti per legge:
PM 2,5 : 25microgrammi/m3;
PM 10: 50 microgrammi/m3:
Sui valori del PM 2,5 occorre ricordare una importante meta analisi, pubblicata su Enviromental Research 2020 di Ciabattini R. et al: “ Systematic rewiew and meta analysis of recent Higth- Quality Studies on exposure to particulate matter and risk of lung cancer”.
Il danno è chiaramente riferito alla correlazione con il cancro del polmone.
Si evince che ogni aumento, rispetto ai limiti stabiliti per legge, comporta un incremento percentuale del rischio. Il superamento del valore soglia di PM 2,5 di 10 microgrammi /m3 aumenta il rischio di neoplasia polmonare di 1,6% e di 10microgrammi di PM 10 di 1,3%.
Negli Stati Uniti i valori stabiliti per legge sono superiori a quelli europei : il PM 2,5 è 35 microgrammi /m3).
Per avvalorare queste analisi, illustriamo un recentissimo studio inglese che spiega i presupposti bio molecolari responsabili dell’insorgenza del cancro polmonare nei non fumatori: (“Lung Adenocarcinoma Promotion by air Pollution” Will et al; Nature 2023).
Secondo questo studio l’inquinamento atmosferico è responsabile del 10-25% dei tumori nei non fumatori, oltre a indurre Asma, Bronco pneumopatia cronica ostruttiva, malattie Cardiovascolari e demenza. L’evoluzione neoplastica è determinata da una Mutazione del Recettore per il Fattore di Crescita epidermico EGFR indotta dal PM 2,5.
In modelli murini si è evidenziato che il PM 2,5 promuove un afflusso di granulociti macrofagi al polmone, con rilascio di INTERLEUKINA 1 beta, che induce la cascata infiammatoria responsabile della crescita del tumore.
I particolati sono anche responsabili di problematiche ostetriche: parti pretermine, basso peso alla nascita e aumentata mortalità perinatale, come riportato dallo studio di Bekkar B et al: “ Association of air pollution and heat Exposure with Preterm Birth, Low Birth Weight and Stillbirth in USA. A Sistematic Rewiew.” Jama 2020.
Tra le emissioni sono presenti Ossidi di Azoto
Il termine NOX indica la somma di Monossido di Azoto e Biossido di Azoto; questi sono più densi rispetto all’aria e si depositano al suolo. Esercitano una azione irritante alle vie respiratorie, favoriscono l’insorgenza di asma, BPCO. Soggetti particolarmente sensibili possono sviluppare patologie a concentrazioni 0,2 mg/m3. Sono associati a malattie neurodegenerative (Demenza, Parkinson).
Tra le emissioni previste abbiamo verificato anche la presenza di Idrogeno solforato o acido solfidrico.
La sua connotazione è il caratteristico odore di uova marce. Determina irritazione delle mucose respiratorie, crea dispnea, induce asma, provoca irritazioni oculari, danni alla vista e disturbi neurologici.
La concentrazione di questo acido di 0,02 parti per milione stabilisce la soglia olfattiva per arrivare, con danni progressivi, sino a 1000ppm che conduce a morte.
Per restare in ambito di disagio olfattivo, responsabile di peggioramento della qualità della vita, occorre ricordare che la “PUZZA” è un vero e proprio inquinamento.
Questo è determinato dalla presenza dei Composti Organici Volatili (COV). Questi sono una ampia gamma di composti chimici quali: idrocarburi aromatici, aldeidi, chetoni, alcoli, esteri, ammoniaca, fenoli, ftalati e composti dello zolfo.
Pertanto “respirare puzza” significa inalare queste sostanze.
Purtroppo, chi paga il prezzo più alto in termini di danno alla salute per inalazione di queste sostanze sono soprattutto i bambini, in quanto una sostanza tossica inspirata è 10 volte più dannosa sull’organismo di un bambino che in quello di un adulto.
Un cenno a parte merita il capitolo ftalati.
Queste sostanze sono interferenti endocrini e mimano l’effetto degli estrogeni. Producono seri problemi di fertilità nei giovani maschi e inducono pubertà precoce nelle bambine.
Inoltre gli Idrocarburi aromatici possiedono una azione mutagena sul DNA e sono carcinogenetici.
DIGESTATO
Concludiamo questa breve disanima accennando al materiale di “scarto” dei processi di produzione del biometano derivante dalla digestione anaerobica delle biomasse.
Dopo la digestione anaerobica nel digestato possono residuare ENTEROBATTERI quali. Salmonelle, Shighelle, Clostriium difficile, nonché bacilli sporigeni quali il bacillo del tetano e batteri tubercolari.
Le centrali a biogas sono ritenute responsabili di alcune epidemie, come quella di Escherichia Coli che colpì la Germania nel corso del 2011, causando gravi infezioni e decessi umani, oltre che danni agli animali. Nei pressi dei 7000 impianti presenti in Germania sono stati stimati ben 3000 casi di botulismo e altre gravissime epidemie.
La spiegazione viene presumibilmente attribuita al fatto che questa tipologia di impianti lavora senza riuscire a neutralizzare del tutto i batteri presenti, in particolare quelli termoresistenti quali il Clostridium botulini e il Clostridium tetani.
Il digestato, utilizzato come fertilizzante, può pertanto inquinare terreni, infettare la fauna selvatica che, inglobata nel fieno può trasmettere le patologie al bestiame o all’uomo. Esso possiede inoltre un elevato contenuto in ammoniaca, che può tradursi in erosione del terreno e inquinamento da nitrati delle falde acquifere.
Desta particolare preoccupazione per questi motivi l’utilizzo delle 45. 000 tonnellate di digestato, prodotte dalla centrale che dovranno ottenere l’autorizzazione per esser utilizzate a scopo agronomico come ammendante per terreni.
Sarebbe utile conoscere il processo di sterilizzazione e capire se sono già stati individuati i terreni agricoli per lo spandimento.
Ci sono precise norme di legge che regolano lo spargimento del digestato: il Digestato deve determinare un apporto di AZOTO (N) non superiore a 170KgN/ettaro/anno.
Inoltre esistono norme stringenti sulla sua distribuzione ( articolo 18 regolamento regionale Emilia Romagna 15 Dic. 2017).
Queste sono alcune:
- Lo spandimento del digestato è vietato su terreni ghiacciati nel periodo compreso tra il 25 novembre ed il 15 febbraio.
- Occorre rispettare limiti ben precisi per evitare inquinamento della falda, pertanto lo spandimento è vietato
– a meno di 5m da scoline;
– a meno di 40m da corsi d’acqua;
– a meno di 50m dalle case e a meno di 5m dalle strade.
- Lo stoccaggio non è ammesso entro 10m dalla sponda di corsi d’acqua ed è vietato in zone a rischio esondazione.
- I mezzi di spandimento devono agire con pressione inferiore a 6 atmosfere.
- Deve essere incorporato nel terreno entro 24 ore.
Queste norme dovrebbero essere osservate scrupolosamente, ma tutto sembra lasciato all’autocontrollo dei “controllati” o ad interventi a danno già avvenuto.
Inoltre nell’Autorizzazione Unica per la Centrale a Biometano sono previsti controlli sulle emissioni ( eseguiti dai controllati e successivamente trasmessi ad ARPAE ) una volta ogni sei mesi per i primi due anni.
Non ci sono indicazioni sui controlli futuri.
Adele Pazzi:
- Medico Chirurgo
- Medicina Interna
- Geriatria e Gerontologia
- Ematologia Generale di Laboratorio
- Già Responsabile del Reparto di Geriatria Lungodegenza Ospedale san Giuseppe di Copparo
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Allevamenti intensivi, Lollobrigida snobba i danni ambientali: “Fare di meglio? Paghereste la carne 20 volte di più”. ….
“I nostri allevamenti sono i più sostenibili del pianeta, non c’è altro continente nel quale il benessere animale venga tenuto in così alta considerazione”. Ne è convinto il ministro per l’Agricoltura, Francesco Lollobrigida, che al Meeting Cl di Rimini è tornato a difendere gli allevamenti, anche quelli intensivi. Strutture che in alcune regioni d’Italia come la Lombardia hanno conseguenze pesantissime sulla qualità dell’aria, sui livelli di smog e di veleni delle acque.
“Vorremmo di meglio, vorremmo di più, si può fare tutto, però si deve sapere che è tutto ha un costo ed è un costo elevato” ha aggiunto il ministro. “Quando si parla della differenza tra allevamenti, intensivi ed estensivi, si deve chiedere al cittadino se è disposto a pagare il prodotto 10, 20, 30 volte di più di quanto lo paga adesso e se la risposta è no quel cittadino deve sapere che non comprerà più il prodotto a basso costo o a costo equo, proveniente dai nostri allevamenti, ma lo comprerà da allevamenti di altri continenti che impattano sull’ambiente e sul benessere animale 10, 20, 30 volte più di quanto fa un nostro allevamento”.
Il ministro ha quindi rivolto un invito alla stampa,”in particolare alla tv di Stato” che “essendo sostenuta dai soldi dei cittadini italiani con le loro tasse dovrebbe sempre commisurare il giusto livello di informazione e di trasparenza con una premessa a fronte di 1, 2, 10, 20 produttori che non rispettano le regole ce ne sono centinaia di migliaia che faticano e tengono in piedi quest’economia, compreso lo stipendio dei giornalisti che parlano in quel modo, con il loro lavoro e rispettando tutte le regole. È una premessa necessaria non c’è alcuna ostilità”, ha concluso.
Riscaldamento globale? Piantala. Mille miliardi di alberi, meno Co2
Riscaldamento globale? Piantala. Mille miliardi di alberi, meno Co2 (lanazione.it)
Abbiamo parlato con il professor Stefano Mancuso, neurobiologo vegetale, scienziato di fama mondiale. CLASSE 5^A SCUOLA PRIMARIA CARDUCCI DI SANTA CROCE.
Riscaldamento globale? Piantala. Mille miliardi di alberi, meno Co2
Il riscaldamento globale è, oggi, la più grande emergenza mondiale. Negli ultimi anni ci sono stati molti eventi atmosferici estremi. Gli effetti più disastrosi sono lo scioglimento dei ghiacciai, che origina l’innalzamento dei mari, mettendo in pericolo molte isole e zone che potrebbero essere sommerse, alluvioni, come quella in Toscana a novembre, che ha provocato allagamenti e tantissimi danni, siccità, che fa diminuire drasticamente la vegetazione e i terreni coltivabili e incendi, che causano l’estinzione di specie animali e vegetali. Il riscaldamento globale è generato dall’inquinamento causato dall’uso di combustibili fossili che, per produrre energia, emettono gas serra, il più dannoso dei quali è la CO2.
Questi gas formano una barriera che fa entrare il calore del sole ma non lo fa uscire, il cosiddetto effetto serra. Inevitabile conseguenza è un costante aumento della temperatura. Abbiamo parlato con il professor Stefano Mancuso, neurobiologo vegetale, scienziato di prestigio mondiale.
Esiste un rimedio naturale?
“Certo che esiste, è piantare molti alberi, almeno 1.000 miliardi di alberi, sembra un numero straordinario, ma dovete pensare che negli ultimi due secoli ne abbiamo tagliati 2.000 miliardi. Quindi, si tratta semplicemente di rimetterne la metà di quelli tagliati. Non sarebbe una soluzione definitiva, però guadagneremmo tanto tempo”.
Le piante sono consapevoli di ciò che sta accadendo?
“Lo sanno benissimo, sono molto più sensibili di noi. Sentono una serie incredibili di parametri. Sentono che il clima sta cambiando. Da una generazione all’altra vanno sempre più in alto dove c’è più fresco, per resistere al caldo. E stanno facendo di tutto per trovare soluzioni”.
Conoscono la loro importanza per il pianeta?
“No, se lo conoscessero non sarebbero così generose. Tutto l’ossigeno che noi respiriamo dipende dalle piante, sono di gran lunga gli esseri più importanti del pianeta, la sorgente della vita. Loro lo fanno senza esserne consapevoli, sono naturalmente generose”.
Le piante riuscirebbero a sopravvivere ad un’eventuale estinzione dell’uomo?
“Le piante non hanno necessità di noi, senza di noi ricoprirebbero il pianeta com’era un tempo”.
Ebbene sì! Il nostro primo rimedio sono gli alberi, che per vivere assorbono la CO2 dall’atmosfera e rilasciano l’ossigeno, attraverso il processo naturale della fotosintesi clorofilliana. Allora cosa aspettiamo? Piantiamola! Anzi, piantiamoli! La Terra ha bisogno di purificatori naturali di atmosfera, ha bisogno di alberi.
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Inquinamento dell’aria, le mappe dell’Italia e della Pianura Padana aggiornate
20 feb 2024 – 11:56
BeezoMeter/Copernicus
https://imasdk.googleapis.com/js/core/bridge3.623.0_it.html#goog_1127787231
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Si continua a parlare della situazione atmosferica sulla zona di Milano e in generale del Nord Italia, dopo che il capoluogo lombardo – sulla base di dati contestati dal sindaco Beppe Sala – il 18 febbraio è risultato, secondo IqAir, la terza città più inquinata al mondo. Il quadro non è però dei migliori prendendo a parametro altre fonti. Non lo è nemmeno in altre aree della Penisola, come a Roma
Resta alta l’attenzione sul livello di inquinamento sulla città di Milano e sulla zona della Pianura Piadana: da oggi, 20 febbraio, in Lombardia scattano misure antismog in 9 province, Milano compresa, mentre gli ultimi dati disponibili diffusi da Arpa relativi a ieri evidenziano come il PM10 resti al di sopra dei valori di riferimento e della soglia dei 50 microgrammi per metro cubo. Il dato registrato nelle centraline di Milano e provincia va da un minimo di 73 a un massimo di 122, a Monza e Brianza arriva a 111, a Como 78, a Lecco 100, a Varese 94. Domenica 18 febbraio il capoluogo lombardo era finito al terzo posto dei centri urbani più inquinati del mondo secondo i dati sulla concentrazione di PM2.5 della società svizzera IqAir (giudicati non attendibili dal sindaco Beppe Sala). Al di là del valore scientifico della classifica, poi diventata virale, si è comunque risvegliato il dibattito sull’inquinamento in Italia. E la situazione non è confortante, anche per zone diverse dalla Pianura Padana: in Emilia sono stati registrati livelli di particolato pm10 (che comprende anche polveri pm2.5) oltre il doppio della soglia giornaliera indicata per legge che è di 50 microgrammi per metro cubo. Per dieci giorni su 14 questo limite è stato di gran lunga superato nel Piacentino, con un picco di 119 (ieri), e nel Modenese, con un massimo di 111 (sabato). I 119 microgrammi di Piacenza sono il valore più alto registrato da inizio anno in regione. Modena invece è già a 29 sforamenti giornalieri del limite, molto vicina alla soglia dei 35 sforamenti annui indicati dall’Ue.
Le mappe dell’inquinamento in Italia
Sui social si stanno diffondendo sempre più immagini relative a mappe sull’inquinamento atmosferic,o anche diverse da quelle di IqAir, che non restituiscono un quadro migliore. Basta guardare a quelle dell’applicazione Meteo installato sugli iPhone, con dati forniti dal servizio esterno BeezoMeter, che dividono le zone d’Italia e del mondo in diversi colori, sulla base dell’EAQI (European Quality Air Index, elaborato dalla Commissione europea e dall’Agenzia europea dell’ambiente). Si tiene conto di cinque parametri: presenza di PM2,5; PM10, ozono troposferico (O3), biossido di azoto (NO2) e biossido di zolfo (SO2). Intorno alle 11 di oggi, 20 febbraio, Milano, la Pianura Padana e buona parte del Nord Italia apparivano di colore rosso, con punte di viola: la qualità dell’aria è considerata “estremamente scarsa”, soprattutto a causa del PM2,5. Significa ad esempio che si consiglia di ridurre l’attività all’aria aperta, in particolare per chi è in condizioni di salute fragili. Va meglio altrove, ma anche intorno a Roma e a Napoli il colore è rosso.
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Le mappe dell’Esa
Anche guardando alle mappe interattive dell’Esa (European Space Agency), partendo dallo scorso gennaio, si vede come le zone intorno Milano e in generale il Nord Italia si colorino spesso di rosso, ancora una volta a indicare un’aria di scarsa qualità.
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Il biossido di azoto nelle mappe di Copernicus
Un altro servizio per monitorare l’inquinamento su una media mobile di due settimane, attivo sul portale dell’Esa, mostra le concentrazioni di NO2 come catturate da Copernicus Sentinel-5P. Di nuovo, per l’area della Pianura Padana il colore è rosso.
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La Pianura Padana è tra le zone più inquinate d’Europa: come mai e cosa c’è nell’aria
Sia la morfologia del territorio che l’elevata industrializzazione causano alti livelli di ozono, ossidi di azoto e polveri sottili rendendo la Pianura Padana la zona più inquinata dell’Europa centro-occidentale.
A cura di Riccardo De Marco
23 Novembre 2023
18:30
La Pianura Padana è tra le zone più inquinate d’Europa: come mai e cosa c’è nell’aria
La Pianura Padana è una delle aree geografiche più inquinate d’Europa. La morfologia del territorio, le condizioni meteorologiche, l’elevata industrializzazione e il traffico veicolare rendono la valle del Po una zona caratterizzata da alti livelli di inquinanti atmosferici: tra i principali e importanti abbiamo gli ossidi di azoto (NOx), l’ozono (O3) e il particolato atmosferico (PM2,5 e PM10). Queste sostanze rendono l’aria della pianura potenzialmente dannosa per l’apparato respiratorio e causano decine di migliaia di morti ogni anno in Italia.
In questo video-articolo vediamo nel dettaglio cosa sono, come si formano dal punto di vista chimico e attraverso un esperimento spiegheremo la condizione dell’inversione termica.
Morfologia della Pianura Padana
Con i suoi quasi 48.000 km2, la Pianura Padana è la pianura più estesa d’Italia ed è circondata da tre lati su quattro da catene montuose: ci sono a nord e ovest le Alpi mentre a sud gli Appennini. L’unica apertura è ad est, verso il Mare Adriatico. Già da qui capiamo che non ci sono le condizioni per avere una grande circolazione di aria. Non ci sono forti venti, tolte magari le occasionali raffiche di bora in ingresso dal Golfo di Trieste.
Quindi possiamo immaginarci la pianura come se fosse una sorta di grande “scodella” che può accumulare al suo interno molti inquinanti – a patto che ci siano precise condizioni meteorologiche.
Condizioni meteorologiche
Di solito man mano che si sale in quota, la temperatura decresce. Infatti in montagna c’è più freddo rispetto che in pianura. Ci sono dei casi in cui però si può invertire questa situazione: quindi freddo in pianura e man mano che si sale di quota la temperatura aumenta invece che diminuire: questo fenomeno è chiamato inversione termica.
Per capire meglio, nel video facciamo un esperimento in cui mostriamo perché l’inversione termica causa uno scarso ricircolo d’aria: tutti gli inquinanti prodotti dalle numerose industrie presenti nel territorio e dal traffico che si accumulano a livello del suolo rimangono tutti a basse quote e non si rimescolano più, causando un ristagno degli inquinanti.
A tutto questo si aggiungono poi le siccità – che tra l’altro continueranno ad essere più frequenti e più durature a causa del cambiamento climatico. Infatti se non piove, gli inquinanti non vengono “lavati via”. Dopo una giornata piovosa la qualità dell’aria migliora notevolmente.
Gli inquinanti dell’aria in pianura padana
Tra i vari inquinanti atmosferici presenti, l’ozono, gli ossidi di azoto e il particolato atmosferico sono quelli a destare più preoccupazione.
Ossidi di azoto
Gli ossidi di azoto sono principalmente 2: il monossido di azoto (NO) e il biossido d’azoto (NO2). Il primo, è un inquinante detto “primario”, perché emesso direttamente dalle automobili, dagli impianti di riscaldamento e dalle industrie, mentre il biossido d’azoto è prevalentemente un inquinante secondario, cioè non viene prodotto direttamente dall’attività umana ma arriva dalla reazione tra il monossido d’azoto (NO) e l’ossigeno dell’aria.
Ecco, questi due ossidi di azoto, e in particolare il biossido, sono gas nocivi non solo per l’ambiente ma anche per la salute umana in quanto possono provocare effetti sulla salute come disfunzionalità respiratoria e irritazioni delle mucose ma anche un aumento del rischio tumori.
Ozono
L’ozono può essere “buono” o “cattivo” per la salute e l’ambiente in base a dove si trova nell’atmosfera. L’ozono stratosferico, quindi nella parte alta dell’atmosfera, è “buono” perché ci protegge dai raggi ultravioletti. L’ozono troposferico invece, cioè quello presente a livello del suolo, è “cattivo” perché può causare una serie di problemi sia alla salute umana, in particolare per i bambini, per gli anziani e per le persone affette da malattie polmonari, come ad esempio l’asma, sia alla vegetazione, soprattutto durante la fase di crescita.
E questo ozono non viene direttamente emesso dalle automobili o dalle aziende. Anche l’ozono, quindi, come il biossido di azoto, è un inquinante secondario, cioè si genera dopo una serie di reazioni chimiche nell’aria che coinvolgono gli ossidi di azoto, alcuni composti organici e la luce solare. Quindi per dire dall’automobile escono gli ossidi di azoto e poi loro generano ozono nell’aria. Doppio passaggio.
È vero che il buco dell’ozono si sta chiudendo?
Ecco, la concentrazione massima giornaliera di ozono per limitare al minimo i rischi per la salute è di 120 microgrammi su metro cubo, da non superare più di 25 volte l’anno (come media su 3 anni).
I valori di ozono però spesso superano più di 25 volte all’anno i 120 microgrammi su metro cubo. Questo perché il livello di industrializzazione e il traffico veicolare producono molti ossidi di azoto, che a loro volta producono ozono! E la mancanza di ricircolo d’aria della pianura padana sicuramente non aiuta.
Particolato atmosferico
Partiamo col dire che particolato atmosferico può essere chiamato anche polveri sottili. Ma cosa significa PM2,5 e PM10? PM sta per Particular Matter, quindi materia sotto forma di particelle, e il numerino indica invece la dimensione di queste particelle.
La definizione sarebbe molto più complessa di quella che stiamo per darvi, ma giusto per avere un idea PM2,5 significa che il diametro medio delle particelle è di 2,5 millesimi di millimetro, mentre PM10 di 10 millesimi di millimetro.
La composizione chimica di queste polveri è molto variabile, parliamo di nitrati, solfati, ammoniaca, sostanze organiche, metalli in tracce… insomma sono una miscela di composti che possono arrivare dall’erosione del suolo, dallo spray marino, dal traffico, dalle industrie ma anche dagli allevamenti intensivi. E in pianura padana il numero allevamenti intensivi è superiore alle media nazionale. Fate conto che nel Nord Italia ci sono i ¾ tutti i capi di bestiame italiani: parliamo di 150 milioni di animali da allevamento sui 200 milioni presenti in Italia.
Ecco quindi quando in pianura padana non piove per giorni se non per settimane, all’orizzonte proprio si vede quella foschia grigia che, se non siamo d’inverno, è causata principalmente dal particolato atmosferico. Per avere un’idea, 9 delle 10 città più inquinante in Italia dal punto di vista di PM10 sono in pianura padana!
Bibliografia
EEA – Europe’s air quality status 2023
European city air quality viewer
Arpa Lombardia 2022
Ozono
Dati allevamento
morti premature per inquinamento
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AMBIENTE
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VIDEO
Riccardo De Marco
Creator
Sono un appassionato del mondo microscopico, a partire dalle molecole fino agli artropodi. La laurea magistrale in chimica mi ha permesso di avere gli strumenti necessari per comprendere il funzionamento del mondo, ma soprattutto ha saziato la mia fame di risposte. Curioso, creativo e con idee folli: date una videocamera, un drone o una chitarra al DeNa e lo renderete felice.
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Secondo i forestali statunitensi molte foreste potrebbero essere sul punto di aggravare il cambiamento climatico
Un nuovo studio mostra come il cambiamento climatico influisce sulla produttività delle foreste negli Stati Uniti. I risultati, lungi dal favorire l’ottimismo globale, assicurano che le foreste potrebbero diventare fonti di emissioni di carbonio.
Un nuovo studio del Servizio forestale degli Stati Uniti rivela più dati su come i cambiamenti climatici influiscono sul pianeta. Questa volta sono state valutate le foreste americane e si è osservato come tutte le regioni forestali vedono modificata la propria produttività e biomassa a causa dell’aumento della temperatura globale, della siccità e degli incendi boschivi. Inoltre, le foreste potrebbero presto cessare di essere un deposito di carbonio per il pianeta.
Gli alberi cominciano a crescere meno
Lo studio è stato effettuato con 113.806 misurazioni in foreste non piantate attraverso inventari forestali. Il servizio forestale degli Stati Uniti monitora da decenni la crescita e la sopravvivenza di oltre un milione di alberi in tutto il paese.
Le foreste sono fondamentali per il cambiamento climatico: agiscono come pozzi di carbonio, assorbendo il 25% delle emissioni annuali di origine antropica.
Condotto da un team di scienziati dell’Università della Florida, lo studio afferma che le foreste in diverse parti degli Stati Uniti stanno crescendo a ritmi diversi. Queste differenze nella crescita sono un buon indicatore di come il cambiamento climatico stia influenzando la salute delle foreste.
Nell’ovest del paese, dove il cambiamento climatico ha avuto un impatto più forte, la crescita degli alberi è rallentata negli ultimi due decenni. Ma a est il clima è cambiato meno. In quella zona, la crescita degli alberi è cambiata poco.
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Gli scenari del cambiamento climatico potrebbero essere peggiori del previsto
Alcuni fattori, come la siccità o le malattie che aumentano con l’aumento delle temperature globali, sono responsabili della minore crescita degli alberi. D’altro canto, l’aumento dell’anidride carbonica potrebbe favorire la fotosintesi delle piante in alcune zone.
Gli alberi in genere crescono più lentamente a causa dei cambiamenti climatici e, se non vengono intraprese azioni urgenti per ridurre le emissioni di gas serra da parte dell’uomo, il pozzo di assorbimento del carbonio rappresentato dalle foreste continuerà a indebolirsi.
I dati mostrano che il cambiamento climatico non è uniforme e, inoltre, c’è un punto di svolta in cui le foreste passano dall’agire come pozzi di carbonio a fonti di questo gas serra.
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Senza questo bacino di carbonio, gli scenari di cambiamento climatico potrebbero essere addirittura peggiori di quelli attualmente considerati. Il cambiamento si sta osservando negli Stati Uniti occidentali, ma potrebbe verificarsi anche in altre regioni del mondo colpite dalla siccità, come l’Amazzonia.
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https://www.ilfattoquotidiano.it/ambiente-veleni/
Guardiamo al clima come a un elefante: siamo accecati mentre andiamo verso l’estinzione
Probabilmente conoscete la storia dei ciechi e dell’elefante. Quello che toccava la proboscide pensava di avere davanti un serpente. Quello che toccava una zampa pensava a un tronco di albero, quello che toccava la coda a un ramo, e così per le orecchie che sembravano ventagli, le zanne sembravano delle lance, e la pelle somigliava a un muro. Ma nessuno di loro, da solo, riusciva a capire cosa fosse un elefante.
E’ un antica storia buddista che risale forse al quinto secolo BC. Ci dice che ci sono cose che vanno al di là delle nostre capacità di comprensione, oggetti che il filosofo inglese Tim Morton ha definito “iperoggetti”. Uno di questi è il clima terrestre. E’ un’entità che si dipana su miliardi di anni cambiando continuamente in dipendenza da un gran numero di fattori geologici, biologici, e fisici che interagiscono fra di loro. In oltre un secolo di lavoro, siamo riusciti a capire molte cose di come funziona, ma ancora se ne scoprono di nuove e il sistema si rivela sempre più complesso di quello che pensavamo che fosse.
Una cosa, comunque, è chiara: l’elefante del clima può reagire in modo catastrofico alle perturbazioni. In particolare, si può surriscaldare a sufficienza da generare estinzioni di massa. E’ successo più di una volta nel remoto passato, potrebbe succedere ancora come risultato della perturbazione umana odierna. Siamo a rischio di estinzione; non è una cosettina da poco.
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Ma fate caso alla povertà del dibattito sul clima sui media: sembra veramente un gruppo di non vedenti che parlano di elefanti. Ognuno porta il suo pezzetto di verità, raccattato alla meglio dai social, da youtube, o da qualcosa di sentito dire da un amico che se ne intende. Da una parte, caldo, freddo, neve, o siccità, è sempre colpa del cambiamento climatico anche se non si sa mai esattamente perché. Dall’altra, si tirano fuori astrusi dettagli: i sentieri alpini nel Medio Evo, la Groenlandia verde al tempo di Erik il Rosso, e persino gli elefanti di Annibale (si parlava di elefanti?) che però non si sa bene cosa abbiano a che fare con la scienza del clima. E, alla fine dei conti, il dibattito si riduce da una parte a una professione di fede nella “Scienza” (quella con la “S” maiuscola rappresentata dai televirologi alla moda), dall’altra a un sillogismo altrettanto fideistico (ma al contrario) che dice, più o meno, “siccome gli scienziati ci hanno imbrogliato sul Covid, ne consegue che ci stanno imbrogliando anche sul clima”.
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A Brescia calano le Pm10 ma l’aria è ancora un problema: «Colpa dei mega allevamenti»
Redazione Web
BRESCIA E HINTERLAND19 dic 2023, 15:14
Calano le Pm10 a Brescia ma la situazione resta preoccupante. Questo è quanto emerge dalle rilevazioni delle centraline Arpa (al 18 dicembre 2023) comunicate da Legambiente Lombardia. In città la concentrazione media nell’anno in corso si è attestata a 26,3 microgrammi/mc, in diminuzione rispetto ai 32,1 del 2022, valore conforme alle soglie europee (40 microgrammi/mc), ma drammaticamente lontano dall’obiettivo fissato dalla Organizzazione mondiale della sanità di 15 microg/mc come media annua).
«Troppi mega-allevamenti nella pianura lombarda, specie tra le province di Cremona, Brescia e Mantova, sono un grosso problema per l’aria che respiriamo – afferma Legambiente -. Sorprendentemente, il valore annuale peggiore (34,2 microgrammi/mc) non spetta ad una città ma a un piccolo centro, Soresina, solitario simbolo della zootecnia da latte del Nord
«Troppi mega-allevamenti nella pianura lombarda, specie tra le province di Cremona, Brescia e Mantova, sono un grosso problema per l’aria che respiriamo – afferma Legambiente -. Sorprendentemente, il valore annuale peggiore (34,2 microgrammi/mc) non spetta ad una città ma a un piccolo centro, Soresina, solitario simbolo della zootecnia da latte del Nord Italia ma una delle pochissime località agricole in cui è presente una centralina di misurazione dell’inquinamento.
In mezzo boccheggiano le grandi città, come Milano, Brescia e Bergamo, responsabili di gran parte delle emissioni da traffico, ma anche abbastanza vicine alle aree di grande concentrazione zootecnica per risentirne in modo significativo nei livelli di Pm10 rilevati dalle centraline urbane».
La spiegazione «per una campagna agricola così malsana va ricercata nei troppi animali allevati in Lombardia, regione che concentra quasi un terzo del peso vivo di tutti gli animali allevati in Italia. Dagli allevamenti lombardi, infatti, esala gran parte delle oltre 90.000 tonnellate annue di ammoniaca gassosa che Arpa stima per la Lombardia, ingrediente di base per la formazione del particolato inorganico secondario che costituisce oltre i due terzi, in peso, del Pm10 misurato».
Orzinuovi
«La valutazione ambientale del Pgt per il nostro territorio indica la necessità di dimezzare la densità zootecnica – afferma invece Franco Ferrandi, presidente del circolo Legambiente di Orzinuovi -. Ciò nonostante nei giorni scorsi il Comune ha deliberato di concedere la deroga alle distanze minime dal centro abitato, per autorizzare una nuova porcilaia da oltre mille capi: un segnale di grave irresponsabilità, contro cui ci riserviamo di intraprendere azioni a tutela della salute dei cittadini».
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14 Dicembre 2023, 10:20
Le emissioni globali di CO2 sono sestuplicate dal 1950 al 2022, come dimostra il grafico creato da Visual Capitalist in collaborazione con il National Public Utilities Council, utilizzando i dati sulle emissioni regionali di Berkeley Earth e Global Carbon Project.
Negli anni ’50, gli Stati Uniti e i Paesi che successivamente avrebbero formato l’Unione Europea (UE) erano i maggiori responsabili di emissioni del mondo, con oltre il 70% delle emissioni annuali totali. Tuttavia, questa tendenza è cambiata rapidamente quando altre nazioni sono entrate nella mischia.
Ad esempio, la crescita economica della Cina negli anni ’70, in particolare con l’avvento della nuova strategia economica di Deng Xiaoping nel 1978, ha innescato un notevole aumento della produzione di CO2. Dal 1950 al 2000, la Cina ha assistito a un aumento delle emissioni di oltre il 4.500%, raggiungendo i 3,6 miliardi di tonnellate annue entro il 2000.
Allo stesso modo, l’India, il Giappone e la più ampia regione asiatica hanno tutti registrato una crescita delle emissioni superiore al 1.000% tra il 1950 e il 2000. Detto questo, le emissioni globali sono comunque aumentate da 25 miliardi di tonnellate nel 2000 a 37 miliardi nel 2022, un altro massimo storico. Oggi, oltre il 40% delle emissioni proviene da Stati Uniti e Cina, sottolineando il loro ruolo chiave nel plasmare il panorama delle emissioni globali.
Articolo visto su (Visual Capitalist)
https://www.visualcapitalist.com/global-co2-emissions-through-time-1950-2022/
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Vediamo quanto inquiniamo: foto di un pianeta da salvare
Dell’inquinamento siamo tutti responsabili: ecco alcune immagini di fotografi internazionali a ricordarci che questo pianeta ha bisogno di noi per essere salvato!
Ecco una serie di imamgini, più che mai attuali, che ci mostrano il risultato delle scelte che facciamo ogni giorno, scattate da fotoreporter e professionisti impegnati nella salvaguardia dell’ambiente, ma in archivio anche siti che si occupano di raccontare lo status quo delle cose che spesso si fa fatica a vedere e ad accettare.
Le spiagge di Brighton
Invitiamo a riflettere sul messaggio che queste fotografie vogliono dare, cominciando dalla prima, dal titolo The Dirty Beaches, scattata da Amanda Jackson, che ha lavorato in collaborazione con delle artiste di Brighton, Louise McCurdy e Chloe Hanks, che hanno avuto l’idea di recuperare e rimettere sul mercato le bottiglie trovate sulle spiagge di Brighton Beach con l’obiettivo di sensibilizzare le persone e l’uso che fanno della plastica.
Credit: Amanda Jackson for FotoDocument
Gli uccelli marini di Chris Jordan
Proseguiamo con l’emblematica immagine degli uccelli di mare di Chris Jordan, che con Midway, viaggiando per mari e isole remoti e lontani, si è da sempre impegnato per denunciare l’inquinamento del mare, anche degli abissi più profondi, che va a intaccare tutta la catena alimentare, fino a condurre a tragiche nuove morti.
Credit: Chris Jordan
L’aria di Lu Guang
Dall’acqua all’aria: ecco un’immagine significativa che racconta lo stato di una delle più forti potenze economiche mondiali attraverso lo scatto del fotografo Lu Guang.
Si tratta di due monaci in visita al Tempio di Laseng, istituzione religiosa che conta più di 200 anni di storia, includendovi importanti studi sulla medicina mongola, luogo sacro che è stato seriamente inquinato dalle fabbriche attorno, così ora pochissimi pellegrini vi fanno visita.
Credit: Lu Guang
The Plastic Cow in India
In ultimo la terra, la madre terra, l’India. Qui un progetto dal titolo emblematico “Plastic cow”, corredato tanto di foto quanto di video, ci spiega che l’India è tanto un luogo spirituale, quanto una realtà piena di contraddizioni.
Per chi è stato in quel paese, vedere lungo i canali migliaia di sacchetti colorati e per le strade decine di mucche ossute che ruminano plastica senza fine, si stringe il cuore.
Credit: occupyforanimals.net
Le donne e l’inquinamento
E per finire un fotografo tutto italiano, Giampaolo Flamini, nato a Bracciano, che racconta con i suoi scatti onirici riporta a galla la questione della “Grande Madre“ che sta male, affiancando a temi più che mai attuali, come quelli della deforestazione, dell’inquinamento industriale e petrolifero, della plastica nei mari e negli oceani, dello smog nell’aria che respiriamo, a immagini eteree di donna. Il suo progetto prende il nome di Galla Muta.
Credit: Giampaolo Flamini
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Allarme smog: bollino rosso in tutta l’Emilia, si salva la Romagna
Qualità dell’aria, l’Arpae ha emesso le misure emergenziali (stop ai diesel euro 5, abbassamento riscaldamenti, stop all’uso di biomasse) per il 12 e il 13 dicembre
Nebbia e smog da bollino rosso in Emilia
PER APPROFONDIRE:
- ARTICOLO: “Vecchie stufe e caldaie, dalla Regione incentivi per nuovi impianti
- ARTICOLO: Smog, oggi e domani nessuna limitazione
Bologna, 11 dicembre 2023 – Le giornate di sole – e nebbia – non aiutano la ‘pulizia’ dell’aria: a causa del clima di questi giorni (non si prevede pioggia almeno fino a domenica 17 dicembre) l’Agenzia regionale per l’ambiente ha emesso un bollino rosso sulla qualità dell’aria in Emilia. Da domani, 12 dicembre, e per tutto il giorno del 13 dicembre, scattano le misure emergenziali anti inquinamento, che coinvolgono le province di Reggio Emilia, Modena, Ferrara, Bologna, Piacenza e Parma. Insomma, si salva solo la Romagna.
Cosa sono le misure emergenziali
Oltre allo stop alla circolazione dei veicoli diesel Euro 5, si prevedono altre misure: – divieto di uso di biomasse per il riscaldamento domestico (in presenza di impianto alternativo) con classe di prestazione energetica ed emissiva inferiore a 4 stelle – divieto di spandimento di liquami zootecnici senza tecniche ecosostenibili in tutti i comuni di pianura est e di pianura ovest delle province in cui si attivano le misure emergenziali – abbassamento temperature medie nelle abitazioni fino a 19°C e nelle attività industriali e artigianali fino a 17°C. Cliniche, case di cura, scuole e luoghi che ospitano attività sportive sono esclusi dall’obbligo di ridurre la temperatura.
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– È vietato generare combustioni all’aperto, compresi i barbecue, e bruciare sterpaglie.
Ricordiamo che oltre ai diesel Euro 5 si fermano anche i veicoli più inquinanti (già bloccati durante la manovra ordinaria) come i diesel fino a Euro 4, i veicoli a benzina fino agli Euro 2, quelli a gpl/benzina e metano/benzina fino agli Euro 1, ciclomotori e motocicli fino agli Euro 1. È comunque sempre possibile, per tutti i veicoli, circolare sulle strade che conducono ai parcheggi scambiatori e alle strutture ospedaliere anche se all’interno dell’anello delle tangenziali.
Quando scattano le misure emergenziali
Le misure emergenziali si attivano quando le previsioni per il giorno di controllo e per i due successivi indicano il superamento della soglia di legge per il PM10 in almeno una stazione della provincia. Le misure emergenziali rimangono attive fino al giorno di controllo successivo compreso (i giorni di controllo sono lunedì, mercoledì e venerdì) e sono revocate dal giorno successivo all’emissione del Bollettino, se nel giorno di controllo non si verificano le condizioni di attivazione.
Allarme smog: bollino rosso in tutta l’Emilia, si salva la Romagna (ilrestodelcarlino.it)
La previsione è emessa da Arpae sulla base del sistema integrato di modellistica meteorologica e di qualità dell’aria.
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Dove si trova la zona più inquinata del Vecchio Continente? Ahinoi, proprio nel nostro Paese: ecco dove l’aria è irrespirabile.
È cosa ben nota che l’Italia ha il triste primato di essere uno dei Paesi più “critici” d’Europa per quel che riguarda il tasso di inquinamento. Ogni anno i dati allarmanti a questo riguardo destano numerose preoccupazioni.
Un “record” che si materializza molto concretamente: la zona più inquinata a livello europeo è appannaggio nostro. Questo è dovuto a una serie di fattori che si sono combinati insieme, tra i quali l’alto tasso di industrializzazione e le particolari condizioni geografiche.
Dove si trova la zona più inquinata d’Europa
La zona d’Italia che può vantare il ben poco invidiabile primato di posto più inquinato d’Europa si trova al Centro-Nord della Penisola: è qui che i livelli di inquinamento sono arrivati alle stelle, superando di gran lunga i limiti consentiti.
Avrete capito che parliamo della Pianura Padana, quella vasta area geografica che si estende fino a comprendere al proprio interno porzioni di varie Regioni italiane (Lombardia, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna e Piemonte).
In Pianura Padana l’inquinamento è arrivato a livelli allarmanti. Stando ai dati dell’Agenzia Europea dell’Ambiente (EEA) i livelli di PM10, PM2,5 e ozono nell’aria della Pianura Padana sono ben oltre i limiti di sicurezza, a riprova di un alto grado di inquinamento atmosferico che mette gravemente a rischio la salute umana e l’ecosistema.
Come detto le principali cause di questo alto livello di inquinamento vanno ricercate in primis nel significativo livello di benessere economico presente in questa zona. La Pianura Padana infatti deve il proprio successo economico all’intensa industrializzazione che però come “effetto collaterale” indesiderato ha prodotto un danno ambientale. Diversi impianti industriali emettono un quantitativo preoccupante di gas di scarico che, andandosi a combinare con le particelle tossiche prodotte nel corso dei processi di lavorazione, si trasformano velocemente in PM2,5, le famigerate “polveri sottili”: un materiale particolato aerodisperso che è estremamente dannoso per la nostra salute.
A peggiorare le cose ci si mettono anche la particolare conformazione geografica del bacino del Fiume Po, che attraversa la Pianura Padana, e pure le condizioni meteorologiche che contribuiscono all’accumulo di sostanze inquinanti nell’aria.
La classifica delle 10 città più inquinate d’Italia
Il problema dell’inquinamento atmosferico non riguarda solo la Pianura Padana, ma interessa anche altre Regioni settentrionali del nostro Paese. Ecco quali sono, secondo i dati elaborati dall’EEA, le 10 città più inquinate d’Italia:
- Cremona
- Padova
- Vicenza
- Venezia
- Brescia
- Piacenza
- Bergamo
- Alessandria
- Asti
- Verona
Poco al di sotto figurano anche due delle città più industrializzate d’Italia come Milano e Torino (rispettivamente al dodicesimo e al quattordicesimo posto) e che, insieme a Genova, costituiscono il famoso “Triangolo Industriale”.
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Si trova in Italia ed è la zona più inquinata d’Europa: l’aria è insostenibile – Bio Pianeta